Situata nel sud dell’Italia e marcata per la presenza del Vesubio e il Mediterraneo, diversi popoli hanno anche lasciato il suo segno in questo capoluogo che resiste a perdere la sua essenza
Napoli: città autentica
(Testo e fotografie di Raimon
Portell. Tradotto dal Magazine La Vanguardia, 7 agosto 2016)
Quando si calpesta Napoli, si respira un
aria familiare. Qualcuno che abbia un po’ di memoria potrebbe affermare “Napoli è la nostra città”.
Le nostre città erano così 20 o 30 anni fa. Nelle nostre città il rione
occupava la strada, che diventava luogo di incontro, stadio, stendibiancheria,
e la stessa famiglia – forse una di simile – aveva abitato nello stesso piano
da diecine di generazioni, e nelle facciate, nei muri grigi e neri, si
accumulavano i successivi strati della storia.
Golfo di Napoli, con il Vesubio, minaccioso, vicino alla città |
Ogni secolo aggiunse nuove cappe sopra la pelle di Napoli. Tuttavia ci
fu un giorno in cui la città fu considerata nuova, come dice il nome con cui fu
battezzata dai greci: Neapolis, città nuova. Rimase greca ciononostante sotto
il dominio romano, che mandava i suoi rampolli ad imparare la lingua di Omero.
Alla fine dell’Impero Romano, nel 476 dC, accolse l’ultimo imperatore di
Occidente e lo mantenne recluso nell’isola dove si alzerebbe il castello
dell’Ovo.
Si spostarono ostrogoti, bizantini, normanni, la famiglia reale degli
Anjou, la Corona di Aragona, gli asburgici, i Borboni,... Finalmente i
garibaldini presero la città e, dopo un plebiscito, la città si incorporò
all’Italia unificata. Anche se Napoli fu sempre indipendente. Così lo afferma
un napoletano. “Come avrebbe sopravvisuto, se non fosse stato così? Perché
nessuno non ci ha mai regalato niente”.
Piuttosto al contrario. La natura la scrollò ogni tanto con numerosi
terremoti, epidemie e reiterate eruzioni del monte Vesubio. E nonostanteciò
Napoli non lasciò mai di crescere. Si svolse verso giù, perforando le viscere
della Terra quando i greci scavarono le miniere per approffitare dei sassi, e
dopo i romani convertirono le gallerie in acquedotti e cisterna, finché si
abbandonarono dopo di una epidemia di colera, al fine del secolo XIXessimo.
Quindi il sottosuolo si riempì di pietrisci, finché si condizionò come rifugio
durante i duri bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale.
La città si svolse anche in altezza, sommando piani quando non si
potevano superare le muraglie. E finalmente, cadute le muraglie, si stese per
la pianura. E con il treno Transvesubiano collegò il rosario di paesini che si
affacciano al golfo di Napoli. Quindi, l’area metropolitana di Napoli è la
seconda di Italia, in addizione cinque milioni di abitanti.
Castello Novo |
Per capire Napoli, si deve andare all’insù, affacciarsi dalla collina di
Vomero e raggiungere la cima del Castello de Sant’Elmo. Dai suoi bastioni si
domina la città e tanto in più. Si vede il porto, e quei due castelli medievali
che affondano i loro piedi nel mare: il normanno Castello dell’Ovo, collegato a
terraferma da un stretto passaggio, e il Castello Novo, con le sue torri tozze
e il arco trionfale dedicato al re aragonese Alfonso V (il Magnanimo), quando
prese la città per la Corona di Aragona.
Castello dell'Ovo |
Tra castello e castello, in piazza del Plebiscito, le colonne della
basilica di San Francesco di Paola tenta di abbracciare il Palazzo Nazionale e
il mitico teatro San Carlo, mecca dell’opera dove si esordirono Rossini,
Donizetti, Bellini e Verdi. Nella stessa piazza, i mitomani possono anche
entrare nel Gran Caffè Gambrinus: arredato al piacere della Belle Époque,
conserva in una vetrina le tazze usate per il Papa Francesco e Angela Merkel.
Di fine secolo XIXessimo è la Galleria Umberto I, coperta da una
volta di vetro con una immensa cupola centrale.
Basilica di san Francesco di Paola, in Piazza del Plebiscito |
Il centro storico si allunga verso all’est, tagliato in due per la
strada che popolarmente si conosce come Spaccanapoli. È lo stesso decumano che
tracciarono a spago i greci. Da un lato e l’altro sporgono le coperte, le
cupole ed i campanili di tantissime chiese. Laddove si trova la barocca chiesa
di Gesù Novo dei Gesuiti di fronte alla Basilica gotica del convento di Santa
Chiara, che fondò la regina Sanzia di Maiorca. Il suo chiostro coperto di
piastrelle rococò è una vera festa di colori.
Più difficile di localizzare è la cappella di Sansevero, dipinta e
scolpita a piacere del principe Raimondo di Sangro, masone e alquimista. La sua
scultura del Cristo velato attira a tantissimi turisti. Anche si deve
localizzare la Via San Gregorio Armeno, dove si succedono i negozi di figure di
presepio, e cercare il Pio Monte della Misericordia, che conserva in una sua
cappella un quadro di Caravaggio. Può servire come riferimento che si trova al
voltare l’angolo del Duomo, dove si conserva il miracoloso sangue di San Genaro
che si liquefa di fronte ai suoi devoti in giorni festivi segnati. Il percorso
potrebbe finire a San Giovanni a Carbonara. La chiesa gotica si affaccia su una
doppia scalinata. Attraverso del monumento funebre del suo abside si accede ad
una cappella rinascimentale arredata con gli affreschi e fine mattonelle
azzurrine.
Senza lasciare il centro storico, restano ancora come minimo tre
appuntamenti obbligatori. Il primo, al mercato rionale di Pignasecca e ai
Quartieri Spagnoli. Si affacciano per la collina di Vomero dalla Via Toledo, la
più commerciale della città. Dalla loro fondazione, come guarnigioni per i
militari spagnoli, i Quartieri Spagnoli si erigirono come quintessenza napoletana
per eccelenza: i panni stesi, quei piani bassi che mantengono tutto il giorno
la porta aperta alla strada, le motociclette in tutti i sensi, camerieri che
cantano...
Quartieri Spagnoli |
Un altro appuntamento obbligatorio è il Museo Archeologico Nazionale. I
mosaici della Casa del Fauno di Pompeia, con quella battaglia tra Alessandro
Magno e il persa Dario III, o quel campionario di pesci, giustificano già il
viaggio. Anche la sua collezione di affreschi, con i ritratti come quello di
Safo o tutti quelli di paesaggi e di scene mitologiche che arredavano i muri
delle case nobili romane. O le magnifiche sculture di marmo come l’Amazzone, il
Toro o l’Ercole della collezione Farnese. Neanche si possono dimenticare le
gallerie di arte erotico.
E in terzo posto, si deve degustare la gastronomia napoletana. Questo è
facile dovunque si vada in città, perché è inevitabile lasciarsi tentare dalle
innumerevoli pasticcerie, caffè, pizzerie, osterie e ristoranti che ci sono in
qualche percorso. Ci si può sorprendere della sobrietà degli elementi. La pizza
Margherita, ad esempio, dispone sulla massa pomodoro, mozzarella e basilico,
sale e olio e si mette in forno soltanto due minuti. E né gli spaghetti con
aglio e olio, né con le vongole, né con i gamberetti, non contano con più
ingredienti. Sono sufficienti, perché hanno raggiunto la sintesi esatta. Come
il caffè. Appena una goccia, ma che goccia!!! E per accompagnare la sua
amarezza sempre si avrà voglia di un dolce, una sfogliatella calda, con i suoi
mille stratti di pasta sfoglia ripieni di crema, o un babà bagnato in sciroppo,
o delle frutte di marzapane, o qualche incorporazione siciliana come le
cassatine o i cannoli. Dopo, un digestivo, delle goccie di limoncello.
Il babà, uno dei dolci tipici da Napoli |
Napoli sfruttassi con il gusto nei suoi piatti e dolci, ma anche con la
vista e, come mai, con l’olfatto in cucine e strade, con il tatto delle sue
pietre e l’udito ci si può dilettarsi con quella parlata tagliente, potente e
con quel punto teatrale, o con le canzone che deve cantanre qualsiasi
belcantista che si pregie di esserlo. E quindi, è quando si sono usati tutti i
sensi che tutto ha un senso. Napoli siamo noi prima che i comuni iniziassero a
investire nei servizi di pulizia, prima che ci si rinovassero i pavimenti e ci
si restaurassero le facciate, prima che tantissimi turisti prendessero i nostri
centri storici, prima che gli alberghi si impossessassero dei palazzi più belli
e le multinazionali occupassero le migliori vetrine. Napoli siamo noi, quando
eravamo autentici.
Dopo della lezione napoletana, resta ancora in sospeso ripassare il
grandioso golfo che si affaccia alla città. All’est si alza l’inquietante
profilo del Vesubio. Ha in addizione più di 40 eruzioni dopo coprire di cenere
la città di Pompeia e il villaggio di Ercolano nel anno 79 dC. Al sud, la penisola
sorrentina chiude la bocca del golfo così lontano che pare un altro paese.
Mentre, sul mare si disegna il tagliato profilo delle isole di Capri ed Ischia.
Il panorama è meraviglioso e incluso chi più resistenza ha se le scappano delle
note tra i denti. Ma infatti quello di cantare sarà meglio lasciarlo a Enrico
Caruso (napoletano, senza dubbio).
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