martes, 9 de agosto de 2016

Napoli: città autentica



Situata nel sud dell’Italia e marcata per la presenza del Vesubio e il Mediterraneo, diversi popoli hanno anche lasciato il suo segno in questo capoluogo che resiste a perdere la sua essenza


Napoli: città autentica


(Testo e fotografie di Raimon Portell. Tradotto dal Magazine La Vanguardia, 7 agosto 2016)


    Quando si calpesta Napoli, si respira un aria familiare. Qualcuno che abbia un po’ di memoria  potrebbe affermare “Napoli è la nostra città”. Le nostre città erano così 20 o 30 anni fa. Nelle nostre città il rione occupava la strada, che diventava luogo di incontro, stadio, stendibiancheria, e la stessa famiglia – forse una di simile – aveva abitato nello stesso piano da diecine di generazioni, e nelle facciate, nei muri grigi e neri, si accumulavano i successivi strati della storia.

Golfo di Napoli, con il Vesubio, minaccioso, vicino alla città

    Ogni secolo aggiunse nuove cappe sopra la pelle di Napoli. Tuttavia ci fu un giorno in cui la città fu considerata nuova, come dice il nome con cui fu battezzata dai greci: Neapolis, città nuova. Rimase greca ciononostante sotto il dominio romano, che mandava i suoi rampolli ad imparare la lingua di Omero. Alla fine dell’Impero Romano, nel 476 dC, accolse l’ultimo imperatore di Occidente e lo mantenne recluso nell’isola dove si alzerebbe il castello dell’Ovo.

    Si spostarono ostrogoti, bizantini, normanni, la famiglia reale degli Anjou, la Corona di Aragona, gli asburgici, i Borboni,... Finalmente i garibaldini presero la città e, dopo un plebiscito, la città si incorporò all’Italia unificata. Anche se Napoli fu sempre indipendente. Così lo afferma un napoletano. “Come avrebbe sopravvisuto, se non fosse stato così? Perché nessuno non ci ha mai regalato niente”.

    Piuttosto al contrario. La natura la scrollò ogni tanto con numerosi terremoti, epidemie e reiterate eruzioni del monte Vesubio. E nonostanteciò Napoli non lasciò mai di crescere. Si svolse verso giù, perforando le viscere della Terra quando i greci scavarono le miniere per approffitare dei sassi, e dopo i romani convertirono le gallerie in acquedotti e cisterna, finché si abbandonarono dopo di una epidemia di colera, al fine del secolo XIXessimo. Quindi il sottosuolo si riempì di pietrisci, finché si condizionò come rifugio durante i duri bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale.

    La città si svolse anche in altezza, sommando piani quando non si potevano superare le muraglie. E finalmente, cadute le muraglie, si stese per la pianura. E con il treno Transvesubiano collegò il rosario di paesini che si affacciano al golfo di Napoli. Quindi, l’area metropolitana di Napoli è la seconda di Italia, in addizione cinque milioni di abitanti.

Castello Novo


    Per capire Napoli, si deve andare all’insù, affacciarsi dalla collina di Vomero e raggiungere la cima del Castello de Sant’Elmo. Dai suoi bastioni si domina la città e tanto in più. Si vede il porto, e quei due castelli medievali che affondano i loro piedi nel mare: il normanno Castello dell’Ovo, collegato a terraferma da un stretto passaggio, e il Castello Novo, con le sue torri tozze e il arco trionfale dedicato al re aragonese Alfonso V (il Magnanimo), quando prese la città per la Corona di Aragona.

Castello dell'Ovo

    Tra castello e castello, in piazza del Plebiscito, le colonne della basilica di San Francesco di Paola tenta di abbracciare il Palazzo Nazionale e il mitico teatro San Carlo, mecca dell’opera dove si esordirono Rossini, Donizetti, Bellini e Verdi. Nella stessa piazza, i mitomani possono anche entrare nel Gran Caffè Gambrinus: arredato al piacere della Belle Époque, conserva in una vetrina le tazze usate per il Papa Francesco e Angela Merkel. Di fine secolo XIXessimo è la Galleria Umberto I, coperta da una volta di vetro con una immensa cupola centrale.

Basilica di san Francesco di Paola, in Piazza del Plebiscito

    Il centro storico si allunga verso all’est, tagliato in due per la strada che popolarmente si conosce come Spaccanapoli. È lo stesso decumano che tracciarono a spago i greci. Da un lato e l’altro sporgono le coperte, le cupole ed i campanili di tantissime chiese. Laddove si trova la barocca chiesa di Gesù Novo dei Gesuiti di fronte alla Basilica gotica del convento di Santa Chiara, che fondò la regina Sanzia di Maiorca. Il suo chiostro coperto di piastrelle rococò è una vera festa di colori.

   Più difficile di localizzare è la cappella di Sansevero, dipinta e scolpita a piacere del principe Raimondo di Sangro, masone e alquimista. La sua scultura del Cristo velato attira a tantissimi turisti. Anche si deve localizzare la Via San Gregorio Armeno, dove si succedono i negozi di figure di presepio, e cercare il Pio Monte della Misericordia, che conserva in una sua cappella un quadro di Caravaggio. Può servire come riferimento che si trova al voltare l’angolo del Duomo, dove si conserva il miracoloso sangue di San Genaro che si liquefa di fronte ai suoi devoti in giorni festivi segnati. Il percorso potrebbe finire a San Giovanni a Carbonara. La chiesa gotica si affaccia su una doppia scalinata. Attraverso del monumento funebre del suo abside si accede ad una cappella rinascimentale arredata con gli affreschi e fine mattonelle azzurrine.

  Senza lasciare il centro storico, restano ancora come minimo tre appuntamenti obbligatori. Il primo, al mercato rionale di Pignasecca e ai Quartieri Spagnoli. Si affacciano per la collina di Vomero dalla Via Toledo, la più commerciale della città. Dalla loro fondazione, come guarnigioni per i militari spagnoli, i Quartieri Spagnoli si erigirono come quintessenza napoletana per eccelenza: i panni stesi, quei piani bassi che mantengono tutto il giorno la porta aperta alla strada, le motociclette in tutti i sensi, camerieri che cantano...


Quartieri Spagnoli

   Un altro appuntamento obbligatorio è il Museo Archeologico Nazionale. I mosaici della Casa del Fauno di Pompeia, con quella battaglia tra Alessandro Magno e il persa Dario III, o quel campionario di pesci, giustificano già il viaggio. Anche la sua collezione di affreschi, con i ritratti come quello di Safo o tutti quelli di paesaggi e di scene mitologiche che arredavano i muri delle case nobili romane. O le magnifiche sculture di marmo come l’Amazzone, il Toro o l’Ercole della collezione Farnese. Neanche si possono dimenticare le gallerie di arte erotico.
 
Spaccanapoli

   E in terzo posto, si deve degustare la gastronomia napoletana. Questo è facile dovunque si vada in città, perché è inevitabile lasciarsi tentare dalle innumerevoli pasticcerie, caffè, pizzerie, osterie e ristoranti che ci sono in qualche percorso. Ci si può sorprendere della sobrietà degli elementi. La pizza Margherita, ad esempio, dispone sulla massa pomodoro, mozzarella e basilico, sale e olio e si mette in forno soltanto due minuti. E né gli spaghetti con aglio e olio, né con le vongole, né con i gamberetti, non contano con più ingredienti. Sono sufficienti, perché hanno raggiunto la sintesi esatta. Come il caffè. Appena una goccia, ma che goccia!!! E per accompagnare la sua amarezza sempre si avrà voglia di un dolce, una sfogliatella calda, con i suoi mille stratti di pasta sfoglia ripieni di crema, o un babà bagnato in sciroppo, o delle frutte di marzapane, o qualche incorporazione siciliana come le cassatine o i cannoli. Dopo, un digestivo, delle goccie di limoncello.

Il babà, uno dei dolci tipici da Napoli

   Napoli sfruttassi con il gusto nei suoi piatti e dolci, ma anche con la vista e, come mai, con l’olfatto in cucine e strade, con il tatto delle sue pietre e l’udito ci si può dilettarsi con quella parlata tagliente, potente e con quel punto teatrale, o con le canzone che deve cantanre qualsiasi belcantista che si pregie di esserlo. E quindi, è quando si sono usati tutti i sensi che tutto ha un senso. Napoli siamo noi prima che i comuni iniziassero a investire nei servizi di pulizia, prima che ci si rinovassero i pavimenti e ci si restaurassero le facciate, prima che tantissimi turisti prendessero i nostri centri storici, prima che gli alberghi si impossessassero dei palazzi più belli e le multinazionali occupassero le migliori vetrine. Napoli siamo noi, quando eravamo autentici.

   Dopo della lezione napoletana, resta ancora in sospeso ripassare il grandioso golfo che si affaccia alla città. All’est si alza l’inquietante profilo del Vesubio. Ha in addizione più di 40 eruzioni dopo coprire di cenere la città di Pompeia e il villaggio di Ercolano nel anno 79 dC. Al sud, la penisola sorrentina chiude la bocca del golfo così lontano che pare un altro paese. Mentre, sul mare si disegna il tagliato profilo delle isole di Capri ed Ischia. Il panorama è meraviglioso e incluso chi più resistenza ha se le scappano delle note tra i denti. Ma infatti quello di cantare sarà meglio lasciarlo a Enrico Caruso (napoletano, senza dubbio).

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