lunes, 31 de octubre de 2016

Le tracce occitane in Italia




(a cura di D. Morelli e T. Senesi)

Esiste un sottile filo che lega Spagna, Francia e Italia da oltre un millenni: la lingua occitana.

In Italia sono occitane 14 valli e 120 comuni delle province di Cuneo, Torino e Imperia con i suoi 180.000 abitanti, di cui la metà è ancora occitanofona.

In Piemonte, da sud verso nord, la piccola Occitania d’Italia si estende sul territorio cuneese dall’Alta Val Tanaro, Corsaglia e Maudagna alle valli Ellero, Pesio, Vermenagna, Gesso, Stura, Grana, Maira, Varaita e Po con le laterali Bronda e Infernotto. Proseguendo in territorio torinese, si aprono le valli Pellice, Chisone, Germanasca e la Valle di Oulx, con cui si indica l’alta Val Susa.

Appartengono alla provincia ligure Olivetta San Michele e le frazioni Realdo e Verdeggia del comune di Triora. La Valle Maira ha conservato, anche grazie all’isolamento di alcuni suoi insediamenti, peculiarità tipiche nella pronuncia e nel lessico, chene fanno un esempio di varietà occitana alpinaancor oggi ben conservata. Qui l’occitano, detto “nòstra mòda” `la lingua di famiglia che però ben si differenzia nella pronuncia da un paese all’altro, e in taluni casi di una borgata all’altra di un medesimo comune.

In Piemonte l’occitano, o provenzale alpino, è oggi conosciuto dal 49,4% della popolazione delle valli (Rapporto IRES n.113, 2007).

Anche in Calabria abbiamo un’isola occitana rappresentata dal comune di Guardia Piemontese nel Cosentino, dove la parlata è frutto di un antico insediamento di valdesi ivi trasferitisi tra XIII e XIV secolo, in seguito alle persecuzioni di Bobbio Pellice (Torino).

L’occitano è una lingua indoeuropea, appartenente al gruppo occidentale delle lingue neolatine, formatasi dalle parlate iberiche e celto-liguri, latinizzate dalla successiva conquista romana. È conosciuta anche come lingua d’oc o provenzale.
Già Dante Alighieri nel XIV secolo la classificò come “lingua d’oc” prendendo come riferimento la particella “òc” (dal latino hoc est: è questo, è così) che indicava l’affermazione, il francese la derivava invece da illud est (quello è) e l’italiani da sic est (così è).

Per designare l’insieme delle regioni nelle quali si parlava la lingua d’oc, venne coniato il termine Occitania (apparso per la prima volta nel 1290), dove la radice oc era modellata sul parlare dell’Aquitania; il nome cadde in disuso e ricomparve successivamente all’inizio del XIX secolo. Diviene termine d’uso comune nel XX secolo in Francia e alla fine degli anni ’60 in Italia con la prima presa di coscienza dell’appartenenza linguistica che porta a denominare Valli Occitane il territorio interessato.

Le comunità occitane sono rappresentate dalla cosidetta croce “occitana”, risalente al regno di Raimondo V, derivata dello sistema gentilizio dei conti di Tolosa “de geues à la croix vidée, clechée” (o croce patente e pomata d’oro). Sono state fatte diverse interpretazioni di questa croce, di cui molte insistono sull’aspetto “simbolico” del motivo. Secondo R. Camboulives (1980) le dodici piccole sfere potrebbero rappresentare le dodici case del zodiaco. La bandiera è utilizzata per rappresentare la lingua e la cultura occitana, o più generalmente come emblema regionale. La croce di Tolosa è a volte accompagnata da una stella a sette punte, che rappresenta le regioni storiche dell’Occitania secondo il Félibrige. Il motivo di questa croce è utilizzato da alcune comunità territoriali, dall’antica contea di Tolosa, e lo si ritrova anche sulla segnaletica stradale.

Nelle Valli Occitane italiane numerosi comuni organizzano una cerimonia al momento della posa della bandiera occitana sugli edifici pubblici. Un testo spiega i motivi della cerimonia viene letto in occitano e in italiano, poi la bandiera viene alzata al suono di “Se Chanto”, una canzone popolare delle valli occitane del Piemonte che è ormai considerata l’inno occitano e che, con il simbolo della croce occitana e il suono della lingua compone i tratti più caratterizzanti dell’area della lingua d’oc, Questa cerimonia si è svolta per la prima volta in Francia, nel villaggio di Baratier, il 19 novembre 2006.

Le valli occitane (in occitano valadas occitanas) sono una serie di vallate piamontesi dove ci sono parlate autoctone di ceppo provenzale alpino, ascritte dunque al gruppo linguistico occitano. Secondo i linguisti esse si trovano nella città metropolitana di Torino e nella provincia di Cuneo.

La descrizione di tali valli è duplice: quella risultata dalla legge 482 del 1999 è basata sulle auto-dichiarazioni dei consigli comunali, mentre dalle fonti scientifiche emerge un quadro ben diverso frutto di ricerche linguistiche sul campo dall’Ottocento al Novecento. Secondo le statistiche dell’IRES Piemonte, l’occitano vivaro-alpino o provenzale alpino è oggi conosciuto dal 49,4% della popolazione delle valli, così come definite dalla legge 482/99. Tale numero è risultato da un sondaggio telefonico in lingua italiana, quindi non è stato misurato l’effettivo livello di competenza linguistica provenzale. Tutti i valligiani conoscono comunque l’italiano e, secondo lo stesso sondaggio, il 65,1% di essi parla anche il piemontese.

I confini linguistici definiti dagli studi precedenti alla legislazione erano di gran lunga meno generosi nell’assegnazione all’occitano delle vallate piemontesi, laddove riconoscevano tratti occitani solo nelle alte valli e non ne riconoscevano affatto nei centri più popolosi adiacenti alla pianura, né tantomeno in Provincia di Imperia. Questi studi scientifici segnalavano inoltre come in alcune località il patois fosse estremamente debilitato, a causa del declino delle comunità di alta montagna che lo tenevano vivo.

La legge prevedeva che venissero incluse nel programma di tutela quelle circoscrizioni amministrative in cui la minoranza fosse stanziata storicamente (escludendo quindi le minoranze linguistiche originate da movimenti migratori recenti). L’individuazione del territorio era deliberata dai consigli provinciali, sentiti i comuni interessati, su richiesta di almeno il 15% degli iscritti alle liste elettorali del comune o di un terzo dei consiglieri comunali o ancora, con un pronunciamento favorevole della popolazione residente nel comune, consultata mediante referendum. Si dovevano quindi unire due elementi nel riconoscimento: il radicamento storico della lingua minoritaria nel territorio e la volontà da parte della popolazione locale o dei suoi rappresentanti.

Di fatto per le valli occitane, così come sono risultate, sono stati i consigli comunali a deliberare la richiesta di riconoscimento e i consigli provinciali hanno accolto tutte le richieste. Si noti che la popolazione residente nei comuni denominati occitani, così come tutti quelli citati nella legge 482/99, non conosce necessariamente, né è tenuta ad apprendere la lingua minoritaria. Con l’approvazione della legge, è emerso subito, in particular modo tra i linguisti, una grossa contraddizione: dagli anni 70 del secolo scorso era stata condotta una capillare ricerca linguistica per individuare le aree in cui erano note e utilizzate le diverse parlate locali del Piemonte. Molti comuni che sono stati riconosciuti come appartenenti a una minoranza linguistica in seguito alla legge del 1999 non risultavano tra quelli in cui tale lingua era utilizzata dalla popolazione alcuni decenni prima, quando, si presume, le parlate locali dovevano risultare più diffuse. Il problema non riguarda solo le amfizone o “zone grigie” dove anche storicamente sipotevano trovare frazioni di uno stesso comune in cui si usavano parlate diverse, ma anche comuni palesamente ed unicamente piemontofoni. In una prospettiva politologica, molti comuni hanno chiesto il riconoscimento della minoranza, pur in assenza del radicamento storico della lingua minoritaria, perché siccome la legge non impone di conoscere ed utilizzare la lingua a coloro che non lo desiderano, è prevalso negli amministratori locali il desiderio di vedersi riconosciuta una qualche specificità, lasciando intravedere l’appartenenza a una “nazione virtuale”, oltre che ovviamente per poter accedere ai finanziamenti promessi dalla legge di tutela.

L’opinione degli studi precedenti è stata dichiarata “superata” da occitanisti. Un numero di linguisti tra cui Werner Forner, Fiorenzo Toso e Tullio Telmon considerano del tutto arbitraria la denominazione di varietà occitane in riferimento alle parlate di alcune località montane prossime al Monte Saccarello (comune di Briga Alta e Ormea in provincia di Cuneo e comuni di Triora e Olivetta San Michele in provincia di Imperia). Controparti del dibattito sono stati Franco Bronzat, occitanista, oltre che l’associazione culturale occitanista brigasca A Vastera, che sostengono con forza l’appartenenza culturale alle comunità alpine occitane, anche a prescindere dalle isoglosse linguistiche.



Documentario sull'occitano parlato nello stato italiano (le Vallate occitane)


Il gardiòl: un’isola linguistica occitana nel sud d’Italia



Documentario sulla Settimana Occitana alla Guardia Piemontese, un'isola occitana in Calabria

Il guardiolo (in occitano gardiòl) costituisce l’unico esempio di lingua occitana nel meridione italiani ed è isolata rispetto all’area nativa che consiste sostanzialmente nella Francia meridionale. È la varietà dialettale occitana parlata nel borgo storico di Guardia Piemontese, comune della provincia di Cosenza e isola alloglotta. Fino agli anni cinquanta era possibile riscontrare tre tipi di guardiolo, corrispondenti a tre quartieri diversi del pur piccolo centro storico e giustificati dalle diverse vallate piemontesi da cui originavano le popolazioni delle diverse aree del paese.

Da una ricerca condotta sul campo da Agostino Formica nel 1999 e pubblicata nel saggio “Spettro di frequenze e varianti nel linguaggio di Guardia Piemontese d’oggi: sfaldamento, contaminazione o evoluzione?” (contenuto nel volume: AAVV, Guardia Piemontese le ragioni di una civiltà. Indagine sul mondo occitanico calabrese, Gnisci, Paola, 1999, pagg. 53-87) risulta che la “tenuta” della lingua occitana (guardiola o gardiòl) ancora oggi si mantiene su buoni standard di coerenza, in quanto emerge dal riscontro delle “risposte” degli abitanti di Guardia Piemontese (suddivisi per fasce generazionali) il dato significativo che la popolazione locale usa ancora la lingua di tradizione. La metodologia di approccio per questa indagine sul campo è stata la somministrazione del testo di un racconto popolare, inizialmente in lingua guardiola, proposto in italiano a un numero congruo e rappresentativo di abitanti di Guardia Piemontese, con preghiera di volgerlo simultaneamente in guardiolo (la registrazione ha fissato le “versioni”, poi studiate e confrontate, pure in relazione alle fasce d’età dei parlanti-intervistati).

Anche Pietro Monteleone, nel suo saggio “Per una identità di Guardia Piemontese tra dati demografici, riscontri, memoria e territorio” (contenuto sempre nel volume prima citato) dalle risposte del questionario (rigorosamente anonimo) proposto agli abitanti di Guardia Piemontese arriva alla conclusione che la popolazione locale, per i suoi due trezi, si esprime “sempre in casa e con gli amici” nella lingua di “tradizione” e che il guardiolo “costituisce ancora oggi lo strumento abituale di gran parte della popolazione del centro calabrese”.

Riassumendo, la lingua occitana è una lingua neolatina (langue d’oc) parlata nel sud della Francia, sui Pirenei (nella Val d’Aran, Spagna), in alcune vallate del Piemonte ed in Italia meridionale a Guardia Piemontese dove è “arrivata” in seguito a spostamenti di popolazioni provenienti dalle zone di origine (XIV secolo) determinati sia di motivi di ricerca di lavoro ma anche, in seguito, a causa di persecuzioni religiose subite in quanto di religione valdese. Nelle varie ricostruzioni dell’arrivo in Calabria degli “oltremontani” (così sono definiti generalmente, in quanto le popolazioni arrivano “da oltre i monti”, ovvero le Alpi, rispetto al primo territorio di stanziamento, le vallate del Piemonte) abbondano inesattezze storiche. Al 2007 secondo il linguista Fiorenzo Toso i parlanti gardiòl a Guardia Piemontese sono 340 su 1.860 abitanti, dato che la maggior parte degli abitanti si esprime in italiano o nella variante cosentina del dialetto calabrese.


C'è qui un'altra delle minoranze linguistiche in Italia. In Spagna c'è anche un'isolina occitana, la Val d'Aran in Catalogna. Conoscete un po' la lingua occitana? Conoscete la Val d'Aran? Sapevate che c'era anche l'occitano come lingua in minoranza in Italia?

La Toscana spagnola



La Toscana è una delle regioni più pregiate dai turisti che un anno tra l’altro visitano il Bel paese. In genere, tutta l’Italia ha una bellezza senza paragone, in cui si sviluppa tutto un patrimonio storico e culturale, una densa eredità monumentale ma, senza dubbio, la Toscana concentra in una regione tutta questa vasta eredità storica, artistica, monumentale delle sue città, dei suoi paesi, dei suoi paesaggi... Perché, insomma, la Toscana deve essere concepita nel suo insieme. Montagne, spiagge, campagna, vitigne, paesi e città. Questa è la caratteristica della regione Toscana, capire tutto l’insieme. E forse, è quello che fa si che la regione sia una delle più visitate e più pregiate di tutto il Bel paese.

Ma, ci sono altre Toscane in altri paesi? Potremmo dire che ci sia una Toscana spagnola?

La rivista Vogue lo ha confermato: sì, c’è una regione, o forse diremmo meglio, c’è un territorio che si può paragonare per il concentramento di tutto questo insieme, paesi pittoreschi, una conservata e pregiata archittetura tradizionale, una densa eredità storica e monumentale e un patrimonio culturale, mescolato al paesaggio e la campagna, montagne e fiumi, che fanno di questo territorio un posto con tantissimo fascino, che ha portato la rivista a considerarlo come la Toscana spagnola: si tratta di un territorio aragonese situato vicino alla Catalogna e alla regione Valenciana, che vi ha conferito una circonstanza storica e culturale particolare: è il territorio del Matarraña (Matarragna).


La manifestazione culturale più caratteristica del Matarragna: il catalano di Aragona

Siamo in un territorio i cui confini con la Catalogna e la regione Valenciana gli hanno conferito una delle sue singolarità più importanti: la lingua catalana. Questa manifestazione, così viva come polemica, fa parte di questo insieme del territorio che vi unisce con i territori con cui confina: si parla la stessa lingua, con le sue differenze, a Gandesa, a Tortosa, a Vinaròs, a Morella, come a Vallderoures, a Calaceit o a Queretes.

Il catalano di Aragona, che si parla in una stretta striscia territoriale che confina con la Catalogna e la regione Valenciana, che va da Montanui, nel territorio della Ribagorza fino ad Aiguaviva, nella Bassa Aragona, tratandosi di particolari dialetti che si differenziano da paese in paese, anche se il tronco comune è lo stesso. È così diverso dallo standard ufficiale che si usa in Catalogna, che ci sono alcuni che dicono che è una lingua diversa al catalano, che per stigmatizzarlo come una lingua di uso campanilista, provinciano, viene denominato come “chapurreao”, che è come dire mal parlato, definizione fatta per denigrare la lingua propria e usare come unica lingua il castigliano, ma attualmente viene valorizzata la lingua propria, perché gli abitanti di tutta questa striscia territoriale hanno coscienza di parlare una lingua che condividono con gli ablitanti al di fuori dei loro confini, ed è promosso a scuola per i propri genitori che non vogliono che la loro lingua si perda. Non invano, l’uso del catalano di Aragona è più importante qui che nella propria Catalogna, giacché la conoscenza della lingua propria, nelle sue varianti dialettali, supera il percentuale dell’80% della popolazione locale.

È così come non deve essere strano per voi se andate per le strade e vicoli dei paesini matarragnesi e sentite parlare una lingua diversa allo spagnolo. Ascoltatela. Non vi stupite: se ci si ascolta la si capisce benissimo, ve lo assicuro.



Adesso scopriremo il territorio, i suoi paesaggi, i suoi paesi e i suoi monumenti, anche scopriremo gli eccellenti prodotti del Matarragna, che sono il frutto della dedicazione e lo sforzo dei suoi abitanti.

Il territorio del Matarragna: la Toscana spagnola

Dunque andiamoci a questo territorio che fa parte della Bassa Aragona, un vasto territorio che abbracia gli attuali territori aragonesi della Bassa Aragona di Alcañiz e il Basso Martín, conosciuti dal suo itinerario del Tamburo e la Grancassa (el Tambor y el Bombo) durante la Settimana Santa, Andorra-Sierra de Arcos, un pezzo dello storico territorio del Maestrazgo, la Bassa Aragona di Caspe, la città del Compromesso, ed evidentemente il territorio del Matarragna. 

Questo territorio deve il suo nome al fiume che percorre da sud verso nord e che versa le sue acque nel fiume Ebro, il fiume Matarragna, che nasce vicino al paese che dà il nome alle montagne più importanti dal territorio e che lo separa dal mare, da Catalogna e dalla regione Valenciana, le montagne di Beseit. Dopo ci parleremo.

Si possono visitare dei paesi pittoreschi e conoscere la loro archittetura tradizionale, una densa eredità monumentale e un patrimonio culturale vivo e diverso. Infatti, il qualificativo di Toscana spagnola è come il cacio sui maccheroni per le sue similitudini con la regione italiana, molto di più estesa e ricca in arte, ma di una fisionomia simile: colline continue, fiumi un po’ selvaggi e i paesi che appariscono subitamente e che dalla sua altezza dominano il territorio e che stanno completamente integrati nei paesaggi, e i loro colori intensi, composti soprattutto dai colori marroni terroni delle loro costruzioni, il verde fresco dei vitigni e il verde scuro degli ulivi e l’azzurro splendente del cielo.

Anche il Matarragna offre dei buoni alloggi di agriturismo e permette di fare tantissime attività in un ambiente naturale eccezionale.

Da dove iniziare un percorso così interessante come questo? Come io vengo da Barcellona, forse inizierei dal primo paese che uno ci si trova quando viene dalla Catalogna per l’entrata naturale, quella che viene dal vicino territorio della Terra Alta, il percorso della strada nazionale N-420. Inizieremo il percorso per il Matarragna da Calaceit (in spagnolo, Calaceite).

Calaceit/Calaceite

Un bello murale fatto da piastrelle separa la Catalogna dell’Aragona, e pochi chilometri circa separano il confine con il bellissimo paese di Calaceit/Calaceite, i cui origini sono due chilometri circa il paese, nelle rovine del paese ibero di Sant’Antonio, ma gli origini del paese in sé sono sicuramente arabi.

Il paese ha un interessantissimo patrimonio archittetonico ed è per questo che il paese è stato dichiarato di interesse storico-artistico.

Calaceit/Calaceite

Il centro storico di Calaceit è veramente singolare. Ogni strada, ogni vicolo ha un intensissimo fascino: la Via Maggiore, la Via Maella,..., piene di palazzi di muri di pietra, balconi e finestre pieni di squisite figure di ferro battuto, e di stile gotico e facciate tradizionali guarnite con i fiori. Si distinguono palazzi come la casa Moix, nella Via Roquetas, costruzione del XVIII secolo, la cui straordinaria facciata è riprodotta nel Pueblo Español di Barcellona.

Parte della muraglia che proteggeva il paese continua in piedi. Ci sono i portoni sui quali ci stanno la cappella del Pilar e la cappella di Sant’Antonio, dal XVIII secolo. Una delle gioie più monumentali del paese è la chiesa barocca dell’Assunzione, di bella facciata.

Nella piazza Maggiore si impone il Palazzo del Comune, di stile manierista, e una curiosa loggia che dà a un cortile interiore di edifici, di grande bellezza.

Palazzo del Comune con la loggia. Calaceit


In un antico palazzo vicino all’antico portone di san Rocco, trovasi il museo di Juan Cabré, che espone una raccolta privata di archeologia, pur raccogliendo esposizioni temporali di artisti comtemporanei.

Lasciamo Calaceit e la prossima fermata nel nostro percorso la faremo a Queretes/Cretas, dopo aver preso la strada autonomica A-1413, che arriva a questo bel paese matarragnense. Lasciamo, a sinistra una strada provinciale che porta a Arenys/Aréns de Lledó, piccolo paese accanto al fiume Algars, che fa di frontiera con Catalogna. Arriviamo a Queretes/Cretas.

Arenys/Arens de Lledó


Queretes/Cretas

A Queretes/Cretas potremo fare una passeggiata per le sue strade e vicoli di aspetto medievale e godere dal suo interessante centro storico con un esteso patrimonio.

Iniziamo il nostro percorso con la chiesa dell’Assunzione, di stile gotico con facciata di stile plateresco, di grande bellezza. Continuiamo fino all’arco di casa Sapera. A destra lasciamo il Centro d’Interpretazione della Cultura Ibera, che fa parte dell’Itinerario degli Iberi della Bassa Aragona, e a sinistra lasciamo la pittoresca via Orden de Calatrava. Traversiamo il portone, dove inizia la via Maggiore e arriviamo a Piazza Spagna, in cui si trova una gogna in mezzo dove si impiccava i prigionieri. Lì si trova il palazzo del Comune e l’antica prigione. Faremo una passegiata per le diverse strade, portoni e archi, come il portone di Vallderoures, da dove potremo osservare un bel panorama delle montagne di Beseit, bei palazzi come Casa Turull o l’antico mulino del paese o la Casa del Diezmo,  e anche le diverse croci di termine che ci sono nel paese, come la croce del Fossar o la croce della Barana. Nel suo termine, si trovano rovine ibere, delle pitture rupestri, e diverse fonti e un bel paesaggio che fa affascinante la visita. Qui si può comprare un buon vino fatto dai vitigni del suo termine, che assomigliano ai buoni vini della Denominazione di Origine Terra Alta, della vicina Catalogna.

Piazza Maggiore. Queretes/Cretas

Lasciamo Queretes, e sempre a sinistra, lasciamo una strada che porta a Lledó e alla vicina Horta de Sant Joan, paese che affascinò il pittore Picasso, in cui ci spostò durante un tempo. Continuiamo fin arrivare al capoluogo di questo territorio, Vallderroures/Valderrobres.

Lledó

Vallderoures/Valderrobres

Capoluogo del territorio matarragnese, vicino dalle montagne di Beseit, sotto le pittoresche montagne del Perigañol e la Caixa, il suo intorno è agricolo, ripieno di terre coltivate da ulivi e da vigneti.

Il paese si estende pel pendio di una collina accanto al fiume Matarragna, il cui letto divide il paese in due: da una parte il centro storico, pedonale e di vicoli ripidi, in cui ancora si vive in tranquillità di un autentico e affascinante paese, e altrove si estende la parte moderna, l’Arrabal, pieno di negozi, alloggi e locali di ocio.

Il centro storico, col suo castello e chiesa nel posto più alto del paese e le sue case più antiche, alcune di loro abbandonate, allineate accanto al fiume, concentra la maggior parte degli edifici più interessanti.

Per arrivare al centro storico, il posto più bello e turistico è arrivare attraverso il Ponte medievale di pietra, da tre occhi, che deve attraversare per accedere, dopo passare sotto il Portone di san Rocco o dei Leoni, alla bellissima Piazza Maggiore. Dire che dal ponte si può ottenere una fotografia bellissima dello “skyline” di Vallderoures. Del portone di san Rocco o dei Leoni, dire che è una pittoresca composizione da torreone e portone del XIV secolo, con la immagine del santo, un orologgio di sole e due piccole colonne coronate da due leoni.

Vallderoures/Valderrobres

La Piazza Maggiore è il punto di partenza dei stretti vicoli che salgono fino al castello. Si impone il palazzo del Comune, di stile manierista, il quale è riprodotto nel Pueblo Español di Barcellona, in cui si può vedere una bella veranda di archetti tipicamente aragonese e la cornice lavorata in legno e i muri sgrafiatti. Anche si trovano altri palazzi di bella fattura, come la fonda Blanc o la casa dei Pereret.

Sarebbe impossibile di capire Vallderoures senza l’impressionante figura del castello che corona il paese, la cui immagine è diventata il suo tratto più riconoscibile.

Per arrivare, si parte dalla Piazza Maggiore per la via del Carmine, attraverso una affascinante trama di stretti vicoli, guarniti da fiori e le facciate dal colore azzurro, fino ad arrivare all’insieme formato dalla chiesa di santa Maria Maggiore e il castello dei Fernandez de Heredia.

L’origine del castello è incerta, ma quello che si può ora visitare, è costruito su una roccia naturale, che ancora si può vedere nel suo secondo piano, ed edificata come elemento di diffesa, è un’opera del XIV secolo, di stilo gotico levantino, e fu ordenato costruire dal arcivescovo Garcia Fernandez de Heredia, e alla sua morte, continuarono i vescovi Dalmau de Mur e Hernando di Aragona, che hanno trasformato il castello in un palazzo episcopale. Consta di un’estruttura essagonale che distribuisce le sue dipendenze intorno a un cortile aperto. Durante un periodo allungato nel tempo è stato abbandonato finché è stato considerato monumento nazionale e si sono ripresi i lavori di recupero e ricostruzione, che lo hanno lasciato nel suo stato attuale.

Oggigiorno, il castello è diventato uno spazio per la cultura, in cui si fanno visite turistiche, esposizioni, congressi, attuazioni teatrali e musicali,... Un spazio del passato che si usa al presente e guarda al futuro.

Inseparabilmente unita alla figura del castello-palazzo, la chiesa di santa Maria Maggiore, è uno dei più splendidi esempi di stile gotico levantino di tutta la provincia, dichiarata di interesse culturale, risaltando la sua meravigliosa facciata, con il frontespizio di archivolte, dei notabili gruppi di sculture e un affascinante rosone. Il suo interno è discretto, dopo la destruzione durante la Guerra di Spagna.

Palazzo del Comune. Vallderoures

Una bella passeggiata per i suoi vicoli completa la visita al paese. Adesso, penseremo al prossimo punto interessante, e da dove potremo partire per fare delle gite per le montagne, vivere la natura. Si tratta di Beseit/Beceite, arrivandosi per la strada provinciale A-2412, inserito in quello che gli abitanti del Matarragna denominano “i loro Pirinei”, le montagne di Beseit “els Ports”.

Beseit/Beceite

Beseit/Beceite, sei chilometri appena del capoluogo, è conosciuto per la sua flora e la sua fauna, e per i suoi spazi naturali di grande ricchezza dei paesaggi, ed anche per il bel paese ed una gioia gastronomica: i funghi. Di apparente origine araba, il paese presenta un’estruttura complessa, che si distribuisce in quattro rioni: il rione di Villanueva, che si stretta nel interno del recinto della muraglia del XIII secolo; i rioni di san Rocco e del Calvario, che si estendono fuori muraglia, e il rione di Sant’Anna, che è cresciuto all’altra riva del fiume Matarragna, i primi passi di cui passano per questo paese.

Beseit/Beceite

Della muraglia, si conservano vestigi come il portone di san Gregorio, dal XII secolo, e i portoni di san Rocco, Coll o il di via Llana, senza dimenticare il portone di Villanueva, dal XVI secolo.

Anche sono interessanti qualche palazzo, come casa Palau, di apparente aspetto fortificato. Un altro edificio attraente è il palazzo del Comune, di stile gotico, con una loggia nel suo pianoterra di sei archi; il piano superiore e la facciata sono stati ristrutturati e offrono un aspetto più moderno. Presso il comune, si trova la Carcere o Presoneta, oggi agriturismo.

Vicina è la chiesa di san Bartolomeo, dal XVIII secolo, di stile barocco, e presso al ponte di sant’Anna, si trova l’eremo dello stesso nome, anche diciottesca. Interessante è la visita ai mulini di fabbricazione di carta, che hanno funzionato fino il XX secolo, prima della guerra, e si fabbricava carta di buona qualità.

Una bella fermata per fare una fotografia: andatevi alla fonte della Rabosa. Possiate lasciare la macchina un minutino alla curva della strada che sale fino all’incrocio del Parrissal e la Peixquera, perché vale la pena fare una fermatina in questo bel paraggio.
 
Ma se c’è qualcosa che risalta a Beseit è il suo intorno naturale. Chi viene qui lo si fa per godere di uno spazio naturale di singolarità: le montagne di Beseit. Il paese ha una buona ubicazione per gli amanti della natura e per la prattica dell’alpinismo e dell’escursionismo, per conoscere la ricchezza della flora e della fauna, e si trovano la lontra,  degli uccelli rapaci e, soprattutto, la capra montese.

El Parrissal

Senza dubbio, la miglior gita è quella che percorre la sorgente del fiume Matarragna ed i suoi primi passi, che è conosciuta dal nome di Parrissal. È una gita di circa due ore (più ritorno), consigliata in qualche stagione meno l’inverno e in periodi di cresciute subite di acqua. È fornita di passerelle di legno per superare il corso acquatico. La gita comincia in piano, ma in salita prolungata fino alle “Gubies”, o spettacolari aghi di roccia. Dopo il fiume sparisce sotto un caos di sassi e roccie, dovendo avere un po’ di precauzione, e a poco a poco, le pareti, ogni volta con più verticalità, si avviccinano, lasciando una stretta fenditura, quello che si chiama gli stretti “Estrets” del Parrissal. C’è chi segue fin arrivare a San Michele di Espinalbà, vicino ai confini con Catalogna e la regione Valenciana, nel picco che si conosce come il Tossal dels Tres Reis.

Un’altra interessante gita porta a un rinfrescante bagno nell’acque tranquille e piene di pozze del fiume Ulldemó. Un’altra è andare allo stagno di Pena e il suo intorno montagnoso del Perigañol e la Caixa, bellissima gita. E tantissime gite in montagna che è un punto di speciale bellezza e di speciale punto di partenza per tantissimi alpinisti ed escursionisti. Un’ultima nota: si può godere anche delle pitture rupestri di stile levantino, come quelle della Fenellosa, all’inizio della gita del Parrissal.

Ritorniamo a Vallderoures, a fin di prendere la strada autonomica A-1414 fin arrivare al prossimo punto di interesse, Fontdespatla/Fuentespalda.

Fontdespatla/Fuentespalda

Piccolo villaggio sotto le montagne della Nevera e dell’Umbria, difeso dalla sua muraglia medievale, dalla quale fa parte un magnifico torreone del XIV-XV secolo, conosciuto come torre degli Arabi (torre de los Moros), edificio di piano quadrato che è stata usata come prigione durante alcuni secoli, e conserva ancora alcuni elementi propri delle carceri. Recentemente è stato restaurato e c’è un belvedere di cui si apre una bella panoramica da fare un sguardo.

Accedesi per uno dei archi della muraglia alla Piazza Maggiore, dove si trova la chiesa del Salvatore, un edificio dei XVI-XVII secolo, di stile barocco con un’aria difensiva. Nel suo interno, c’è uno degli organi più antichi dell’Aragona. Presso c’è il cimitero dove si possono vedere alcune curiose stele funerarie medievali.

Fontdespatla/Fuentespalda

Gli eremi di santa Barbara e San Michele sono anche costruzioni che hanno un certo interesse.

La stessa strada autonomica che ci ha portato fino a Fontdespatla, adesso vi porta al prossimo punto di interesse: Penaroja de Tastavins/Peñarroya de Tastavins

Penaroja de Tastavins/Peñarroya de Tastavins

Sulla sponda del fiume Tastavins, sotto lo sguardo delle montagne di Beseit, che qui apparono sotto le curiose forme delle Roccie del Masmut, e sotto i picchi del Tossal de l’Hereu e del Tossal d’Encanadé,  nelle quali si godono gli escursionisti e gli alpinisti, appare il bello villaggio di Penaroja de Tastavins/Peñarroya de Tastavins.

Roques del Masmut

La prima cosa che dobbiamo risaltare di Penaroja de Tastavins è la sua dedicazione alla industria suina, che anche conta con un Centro di Inseminazione Artificiale Suina. I prosciutti di Penaroja sono molto pregiati e conosciuti, e fanno parte di una Denominazione di Origine Controllata propria che la rendono un altro attrattivo della zona.

Una passeggiata gradevole si può fare per il suo centro storico: le sue case de pietre, i suoi bei palazzi, alcuni con traccie del tipico arte gotico aragonese, miscuio con le tracce arabe, che qui si chiama mudejar. Risaltano la chiesa barocca di Santa Maria Maggiore, l’antico mulino di olio, il palazzo del Comune, con la sua prigione, che fa parte, insieme a tutte le altre antiche prigioni del territorio di un itinerario, del XV secolo. Su queste, dobbiamo dire che furono costruite tra il XVI e il XVIII secolo, e si costruivano accanto i palazzi dei Comuni giacché erano i sindachi quelli che avevano il massimo potere per imprigionare e condannare i reclusi.

Penaroja de Tastavins/Peñarroya de Tastavins

Anche c’è un Centro d’Interpretazione, Inhospitak, che fa parte del progetto Dinopolis, che è una mostra paleontologica in cui si può visitare i fossili originali del dinosauro più completo che si è trovato in Spagna, il Tastavinosaurus, trovato a Penarroja de Tastavins, di cui c’è anche una coppia a escala naturale di 17 metri di lunghezza.

Ma se c’è un monumento che risalta soprattutto a Penaroja, e che si trova vicino al paese, sul fiume Tastavins, è il santuario della Vergine della Fonte (Virgen de la Fuente), uno degli insieme monumentali e culturali più interessanti del territorio e della provincia di Teruel, dichiarato monumento storico-artistico dal 1931. È una delle migliori espressioni del gotico mudejar aragonese, costruito tra il XIII e il XIV secolo. Si conservano tracce della primitiva costruzione romanica, sulla quale si è costruito l’attuale santuario, in cui risalta il soffitto di legno lavorato, guarnito con scudi dell’ordine di Calatrava, figure tagliate di guerrieri e pitture geometriche e vegetali. Adesso, il santuario è un importante centro di ozio e alberghiero.

Ritorniamo di nuovo alla strada autonomica A-1414 per arrivare al prossimo punto di interesse: Montroig/Monroyo.

Montroig/Monroyo

Questo piccolo paesino, che è pratticamente al confine provinciale, si estende sotto la Mola, un singolare blocco roccioso che ha un colore rossiccio e che dà il nome al paese (Montroig, monte rossiccio).

Montroig/Monroyo

A Montroig si conserva il torreone di un antico castello in cui è stato prigioniero il principe di Viana e, secondo dice la tradizione, ci si ha alloggiato il Cid Campeador. Di grande importanza strategica per la sua ubicazione, Montroig è stato circondato da una muraglia, dalla quale solo resta in piede il Portone di Santo Domenico, per cui si accede al centro storico. Il paese è veramente attraente: in uno spazio ridotto concentra case, palazzi, balconi con grandi grondaie, quello che qui si chiamano ràfecs, travi di legno e archi, e tantissimi detagli che fanno si che la visita ci sia interessante ed affascinante. 

La chiesa è dal XVI secolo, con la sua facciata barocca. Della stesso piazzale dove si trova la chiesa, inizia una scalinata che porta al Palazzo del Comune, un edificio di stile rinascimentale con la sua loggia porticata. Infine alla piazza Vecchia ci si può visitare l’antico Ospedale, un interessante edificio di stile gotico-rinascimentale.

Museo del Pane. Torredarques/Torre de Arcas

Da Montroig/Monroyo parte la strada nazionale N-232 in due direzioni: si ci si va verso sud, ci troveremo l’ultimo paesino del territorio, accanto al confine con la regione Valenciana, dove si trova la bellissima città di Morella. Ma questo è un altro viaggio. Quest’ultimo paesino matarragnese è Torredarques/Torre de Arcas, un piccolo e bello paesino, in cui il maggior interesse è fare una passeggiata per i suoi vicoli, tra le pittoresche case, ed andare a vedere il Museo del Pane, forno storico di proprietà comunale, dal XVIII secolo. Un fornaio comunale si occupava della cottura del pane che si ellaborava previamente ad ogni famiglia in casa sua. Conserva l’arredamento tradizionale e proprio per la cottura del pane. Interessante.
Se ci si prende la strada nazionale N-232 verso nord, tra pochi chilometri, si prende una strada provinciale, TE-V-3005, che porta fino al prossimo punto di interesse, Ràfels/Ráfales.


Ràfels/Ráfales

Questo paese si trova in un’ubicazione di difficile acceso, sulla sponda sinistra del fiume Tastavins. Dalla sua origine, il paese è cresciuto intorno al castello, di cui restano alcune tracce.

Ràfels/Ráfales

Il centro storico, che presenta una forma triangolare, conserva alcuni edifici di grande interesse che hanno fatto che il paese sia dichiarato Monumento storico-artistico nel 1983. Alcuni esempi sono i due portoni che rimangono in piedi, soprattutto il portone di san Rocco, il quale a sua volta dà acceso alla via Maggiore, porticata in entrambi i lati.

È anche curioso il Palazzo del Comune, dunque fa parte della muraglia ed è adossato a una torre difensiva di cinque piani e piano quadrato, e come mai, la sua prigione.

Due palazzi nobili presidono la piazza Maggiore, uno di loro con un orologgio di sole e l’altra con i belli finestroni.

Infine, un altro edificio a risaltare è la chiesa dell’Assunzione, un’opera gotica nel cui interno si conserva la pregiata Adorazione dei Re, dal XVI secolo. Adossata alla sua nave si alza una torre alla quale si può salire per una singolare scala a chiocciola.

L’intorno naturale di Ràfels ha anche altre cose affascinanti, come montagne coperte di foresta, ruscelli e fonti le cui acque sono state profittate dai mulini di farina e le case di campagna, che cui si chiamano mases o masies, dal suo intorno. Uno di questi mulini, il Moli de l’Hereu, mulino di olio, è rimasto in funzionamento dal XVIII secolo fino agli anni ’70 dello scorso secolo, adesso è un albergo. Era l’unico mulino di olio del paese, proprietà della famiglia di casa l’Hereu, possidenti de Ràfels. Conserva il macchinario originale e ci sono i pannelli interpretativi del processo di elaborazione tradizionale dell’olio, uno dei motori economici del territorio.

Adesso, continueremo sulla strada provinciale TE-V-3005 fino ad arrivare al prossimo paese, La Portellada, ma prima di arrivare al paese, ci faremo una fermata di obbligata visita a uno spettacolo naturale molto affascinante: el Salt della Portellada.

La Portellada

Come abbiamo detto prima, partiremo di Ràfels per la strada che porta fino alla Portellada, ed a mezza strada, nel passo che si chiama el Portillo per cui si entra sulla sponda del fiume Tastavins se ci si viene dalla Portellada si accede a una pista senza asfaltare che porta al Salt della Portellada, spettacolare cascata sul fiume Tastavins. Adesso ci parliamo.

El Salt della Portellada

Fino al Salt si può accedere in macchina, ma dipende dello stato della pista senza asfaltare per cui si accede. Se si fa camminando pian piano dalla strada ci metteremo un’ora e mezza tra andata e ritorno. Si consiglia qualsiasi stagione dell’anno, ma la primavera è forse la miglior stagione perché è quanto ci ha una maggior portata nel fiume Tastavins e la cascata risplende per la sua spettacolarità. Non c’è nessuna difficoltà per arrivare, tranne che uno si possa bagnare i piedi (è anche gli scarponi).

Si prende la pista e c’è l’opzione di salire fino al picco di Sant Pere Màrtir (San Pietro Martire), da poco più di 700 metri, con una stupenda vista sul territorio, soprattutto verso la Portellada ed il valle del Tastavins. Pur seguendo la pista, in chiara discesa, si arriva all’acceso superiore della cascata di 20 metri di altezza, dove uno stratto di arenaria ha creato un aggetto per cui l’acqua cade in scesa libera. L’erosione fluviale ha lavorato sulla roccia fino a creare delle curiose forme.

Attraversare il fiume supone bagnarsi i piedi, ma se questo succede vuol dire che la cascata ha abbastanza portata d’acqua, per cui avrà valso la pena di andare lì. Nella sponda destra un sentiero scende fino alla pozza dove cade l’acqua in discesa. Ci sono tantissimi blocchi di roccia che si sono staccati dall’aggetto di arenaria.

È facile di vedere gli uccelli che fanno il nido nelle pareti verticali e scoscesi dell’aggetto, come ad esempio le rondine, e gli uccelli legati all’entorno acquatico, e camminando sul letto del fiume si possono scoprire le traccie delle nutrie, come ad esempio i loro escrementi fatti di massici di lische da pesci. Inconfondibili!

La Portellada, come succede a quasi tutti i paesini del Matarragna, è un bel posto per fare una bella passeggiata, della quale si può risaltare il palazzo del Comune, che ha le stesse tracce che il resto di palazzi comunali del territorio. Di tre piani di altezza, nel pianterreno si apre una loggia di due grandi archi di mezzo punto e nel piano superiore si sviluppa una veranda di archetti tipici del gotico aragonese, come anche ci sono in tanti palazzi di stile rinascimentale. 

La chiesa di san Cosimo e san Damiano è abbastanza sobria e semplice.

Vicino al Salt della Portellada, il mulino del Salt si trova sulla sponda sinistra del Tastavins, è al rifugio di una grande roccia, e conserva parte del suo macchinario.

Se prendemo la strada provinciale TE-V-3004, arriveremo a Fòrnols/Fórnoles, paese in cui si conservano poche rovine di quello che fu il castello, che dominava il paese. Della muraglia, ne resta un portone che dà acceso al centro storico. Risalta il palazzo del Comune, edificio di due piani, con loggia di tre archi e coperta fatta di legno lavorato. Ha anche una torre moderna con l’orologgio, e forse c’è, come in altri paesi, la prigione. Ci sono palazzi tipici, come quello della casa natale di Braulio Foz, scrittore e giornalista aragonese. La chiesa di santa Maria Maggiore, è barocca con tre navi. 

Vicino al paese c’è il santuario di Monserrate, di grande devozione al territorio.

Ma per andare al prossimo punto di interesse, La Freixneda/La Fresneda, dovremo prendere la strada locale TE-22. Non possiamo lasciare il Matarragna senza fare una visita a questo bellissimo paese. Andiamoci!

La Freixneda/La Fresneda

Il centro storico della Freixneda/la Fresneda si estende ai piedi di due colli che risaltano veramente sul paesaggio vicino. Il loro profilo viene definito per questi due colli incoronati per le rovine di due edifici che sono stati importanti per capire la storia del paese: il castello medievale calatravo, distrutto nelle Guerre Carliste, dall’altro l’eremo barocco di santa Barbara. Tra tutti e due si trova, abbandonato e pieno di mistero, il vecchio cimitero. Al di là, si trova la splendente chiesa di Santa Maria Maggiore, di stile gotico con succesivi ampliamenti barocchi ed accanto si trovano delle lapidi funerarie con le iscrizioni.

 
Palazzo del Comune. La Freixneda/La Fresneda
Forse abitata dagli iberi, nel XII secolo quando è conquistata dai cristiani, c’era un piccolo paese di origine arabo laddove dopo si è costruito il castello calatravo. Succesivamente, la Freixneda ha cresciuto ai piedi del castello, accanto al quale si è costruita la chiesa gotica. Tutto l’insieme è stato circondato da una muraglia con diversi portoni di acceso, qualcuno rimane ancora, come il portone di Xifré, che dà acceso alla piazza Maggiore, dove si trova il Palazzo del Comune, con la Loggia, che funzionava come mercato. Il palazzo del Comune è del XVI secolo di stile rinascimentale. Ha tre facciate che conservano delle gargole, e ha tre piani finiti da una coperta a doppio spiovente. Nel suo interno, ristrutturato, conservano interessanti saloni, risaltando la prigione del primo piano in cui si conservano numerevoli graffiti d’ispirazione religiosa o militare, fatti dai prigionieri che la occupavano nei XVII e XVIII secoli. In un edificio vicino, dove si trova l’Ufficio Turistico, c’è anche una cella-pozzo, che fa parte dell’itinerario delle prigioni del Matarragna. Anche c’è un centro d’interpretazione del patrimonio del paese.

Nella stessa piazza Maggiore ci sono altri interessanti palazzi che fanno di questo posto uno dei più ben conservati insieme di tutta l’Aragona. Dalla piazza con la loggia accanto, parte la bellissima via Maggiore, porticata sotto bei palazzi guarniti dai fiori. Di questo porticato sotto archi, partono tantissimi vicoli che fanno dell’insieme un punto affascinante da fare tantissime fotografie. 

 
Via Maggiore. La Freixneda/La Fresneda
Quando si arriva alla fine della via Maggiore, si trova l’altro punto di ingrandimento del paese, quello che si trova attorno la piazza del Pilar.

In questo rione del paese, attorno alla piazza del Pilar, si trovano alcuni dei monumenti più importanti della Freixneda: la cappella del Pilar, del XVII secolo, di stile barocco di un’unica nave; il palazzo dell’Encomienda di Calatrava, guarnita dagli elementi dell’Ordine calatrava, imponente, sulla via del Pilar; accanto a questa via, si trova un antico convento, adesso trasformato in albergo di lusso... Infine, le vie e i vicoli della Freixneda è una bella ed affascinante passeggiata che non si deve dimenticare in una visita sul territorio matarragnese.

Una curiosità: Alla Freixneda è stato girato un film, Libertarias, il cui argomento è il ruolo delle donne libertarie nella Guerra di Spagna che, in questo punto, la Bassa Aragona, è stato un posto dove si è pratticato l’ideale anarchico e che anche è stato un punto in cui la guerra e la repressione sono state così dure.

Lasciamo la Freixneda/La Fresneda, e possiamo andare in due direzioni: se si prende la strada autonomica A-231, arriveremo fino a Valljunquera/Valjunquera, a cinque chilometri. Che ci si può risaltare di questo paese? Abitato dai tempi antichi, nel termine ci sono alcuni giacimenti archeologici iberici, come quelli di Mirablanc, il Castellar e il Lliri. Nel paese c’è il museo della Memoria Storica del territorio matarragnese, che si trova nel paraggio delle “Coves” (grotte). 

Valljunquera/Valjunquera

Da una bella passeggiata sul paese, risalta a Valljunquera la chiesa di san Michele, la Fontana della Tejería, la Loggia, la via Maggiore, i resti della Muraglia, l’albero monumentale Olmo della Seixa, ed a pochi chilometri, accanto alla strada nazionale N-420, il paese abbandonato del Mas del Llaurador,  senza abitanti dagli anni ’60 del secolo scorso.

Mas del Llaurador/Mas del Labrador


Ma ritorniamo alla Freixneda/la Fresneda per prendere l’altra direzione e che ci porta al prossimo punto d’interesse: La Torre del Comte/La Torre del Compte.
 
La Torre del Comte/La Torre del Compte

Per arrivare, prenderemo la strada provinciale TE-V-3001, ed in un paio di chilometri ci arriviamo subito tra scendere subitamente fino al ponte che incrocia il fiume Matarragna e dopo una subita salita fin arrivare al centro storico della Torre del Comte, i cui tetti, a proposito, sono stati dannati l’anno 2015 da una forta e subita grandinata, ed ancora si può vedere qualche tetto con le tegole rotte.

La Torre del Comte/La Torre del Compte, in primo piano. In secondo piano, all'indietro, trovasi la Freixneda/la Fresneda

La Torre del Comte ha anche un importante patrimonio monumentale. Nel suo centro storico, risalta il palazzo del Comune, restaurato anni fa, è un palazzo che è uno dei migliori esponenti dell’architettura rinascimentale del Matarragna. Risaltano i pilastri ottogonali e le tre curiose gargole che guarniscono la sua facciata. 

Nella stessa piazza Maggiore, si trovano palazzi nobili come la Casa Grande (dal 1625) o il palazzo della famiglia Ferrer, tra altre, dove risalta un enorme orologgio di sole, e che hanno i muri di pietra e le cornici di legno. Una bella passeggiata per il paese ci fa scoprire un sacco di case e palazzi belli, come la casa della famiglia Vergós,  la Loggia sotto l’edificio del Comune o gli archi delle vie porticate. La chiesa di san Pietro Martire, originariamente del XIV secolo, ha subito varie ampliazioni posteriori. La sua facciata gotica conserva capitelli vegetali nelle sue quattro archivolte. Risaltano anche due portoni, uno dei quali, il portone di san Rocco  ha una bella visione del territorio e del termine. 

C’è un interessante museo etnologico. Risalta ai dintorni del paese l’eremo di san Giovanni Battista.

Un inciso prima di continuare il percorso: uno dei più pregiati stablecimenti alberghieri del Matarragna è l’antica stazione del ferrovia, adesso La Parada del Compte, nel quale, dopo la sua ristrutturazione, si può godere da una squisita gastronomia e di un soggiorno confortabile e curioso. Dopo ci parleremo di questo binario, la chiamata Via Verde di Val de Zafán.

Infine, risaltare che nel paraggio delle Miravetes, non lontano dal paese, si trovano le rovine di un paese ibero, del IV secolo a.C.

Prendiamo la strada provinciale TE-V-3001 fino ad arrivare alla strada nazionale N-420, e lasciaremo a mano sinistra la possibilità di visitare La Vall del Tormo/Valdeltormo, dove risaltano il palazzo del Comune e la sua Loggia in angolo, la chiesa della Assunzione di Maria, sobria e semplice, e i vicini giacimenti iberici di Torre Cremada e di Tossal Montañés. Alla Vall del Tormo, c’è un centro d’interpretazione dell’iconografia iberica.

La Vall del Tormo/Valdeltormo


Ma invece, lasciamo la strada nazionale, e seguendo il percorso del fiume Matarragna, prendiamo la strada autonomica A-1412, fino ad arrivare al prossimo punto di interesse, Massalió/Mazaleón.

Massalió/Mazaleón

Sulla sponda sinistra del Matarragna, sul pendio di una collina, si trova questo paese circondato di tantissimi giacimenti archeologici che parlano del lontano popolamento del territorio: ci sono i giacimenti dei “Covatxos”, “els Secans” e “las Caídas de Salvimec”, dove si possono vedere le mostre di pittura rupestre, di tipo levantino, mentre che il giacimento della “Botigueria dels Moros” conserva estratti del Paleolitico o del Neolitico; anche ci sono altri giacimenti come “les Escondines” o le rovine del paese iberico accanto all’eremo di san Cristoforo, nella casa dell’eremita si trova il centro di visitanti degli Iberi di Massalió, dove si parla degli origini del mondo iberico e la sua evoluzione sul territorio matarragnese. L’eremo è un edificio del XVII secolo.

Forse sono i giacimenti archeologici e iberici quello che è più importante di Massalió/Mazaleón. Però non è per niente di meno interessante la visita al suo centro storico, dal quale risaltano, soprattutto, due punti di interesse: il palazzo del Comune, del XVIII secolo, ha tre piani e una loggia restaurata. Anche è uno dei paesi dove c’è una prigione comunale. 

Massalió/Mazaleón

L’altro punto di interesse di Massalió è la chiesa parrocchiale di santa Maria Maggiore, dal XVI e XVII escolo, ristrutturato e restaurado da diverse volte.

Dopo la visita a Massalió/Mazaleón, potrebbero dire che è finito il percorso per il territorio matarragnese “in sensu strictu”, quello che è riconosciuto politicamente adesso come territorio amministrativo. Però il territorio geografico matarragnese continua fino ad arrivare allo sbocco del fiume Matarragna sull’Ebro, in cui versa le sue acque nello stagno di Riba-roja.

È per questo motivo, che ancora verremo due paesi in più che sono di tantissimo interesse, tanto quanto lo sono stati finora i paesi che abbiamo visto. 

Inizieremo da Maella, a cui arriveremo attraverso la stessa strada autonomica che abbiamo preso per arrivare a Massalió/Mazaleón.

Maella

Sebbene appartiene al territorio amministrativo della Bassa Aragona-Caspe, storicamente è appartenuto a un territorio che si definiva come il Basso Matarragna o come continuazione del territorio catalano vicino della Terra Alta. Maella è l’incrocio delle acque del fiume Matarragna da un lato e dal fiume Algars che finora è stato il punto confinante con la vicina Catalogna. Infatti il Matarragna attraversa il paese da sud verso nord, separando il centro storico dal rione di san Sebastiano.

Il centro storico di Maella si trova sulla parte alta del paese, da dove risaltano le rovine del castello e la vicina chiesa parocchiale di santo Stefano. Il castello si trova in uno stato rovinoso giacché le guerre carliste sono state dure e crudeli in questo territorio. La chiesa, separata dal castello per un portone che fermava il paese, aveva una passarella che ci communicava. C’è anche la chiesa di Santa Maria, che è stata ceduta all’ordine franceschiana. 

La Torre dell'Orologgio. Maella

Ma se c’è un edificio notabile e singolare a risaltare a Maella è la Torre dell’Orologgio, edificio civile di 48 metri di altezza, costruita nei XV e XVI secoli, che configura lo skyline del paese. Di stile originariamente gotico mudejar, ospita la cappella della Vergine del Portal. È stata ristaurata e nel suo interno si celebrano le reunioni del comune.

A Maella c’è la casa natale dello scultore Pablo Gargallo, figlio di questo paese. Ed andare per le vie e vicoli del paese è, come mai, una bellissima passeggiata in un bel paese i cui abitanti fanno tantissima attenzione alla sua bellezza.

Un appunto: la lingua qui, il catalano di Aragona che si parla a Maella, ha la denominazione particolare di maellí, forse ci sono alcune tracce già diverse dagli altri paesi circondanti.

Adesso, e per finire il percorso, dobbiamo prendere la strada autonomica A-1411 fino ad arrivare a una strada locale che porta all’ultimo punto di interesse di questo territorio, Favara/Fabara.

Favara/Fabara

L’ultimo punto di interesse di questo percorso per il territorio matarragnese è Favara/Fabara.  

È conosciuto, soprattutto, per il mausoleo romano che si trova ai dintorni del paese, monumento storico nazionale, questo piccolo edificio funerario del II secolo ed è senza dubbio uno dei più ben conservati di tutta la penisola Iberica. Le sue colonne si conservano quasi intatte.
Mausoleo romano a Favara/Fabara

Inoltre nel centro storico c’è un castello medievale dell’ordine calatrava, molto importante durante nel medioevo in questo territorio bassoaragonese, la chiesa-fortezza di san Giovanni Battista, di stile gotico mediterraneo, e il palazzo del Comune, di stile rinascimentale.

Favara/Fabara

Insomma, dopo aver visitato il patrimonio storico del paese, Favara è un paese molto gradevole per fare una bella passeggiata. I suoi vicoli sono affascinanti, risaltando il vicolo della Juderia, e anche è stato scelto per alcuni artisti locali per avere le sue raccolte di opere artistiche, come ad esempio il Museo di Pittura Moderna di Virgilio Albiac o il Museo di artigianato popolare di Jose Valls.

Un altro tratto caratteristico è il suo dialetto locale del catalano di Aragona, il favarol, diverso da quel che si parla ad esempio a Maella.

Anche se il fiume continua il suo percorso fino al suo sbocco all’Ebro, i due paesi che traversa, Nonasp/Nonaspe e Faió/Fayón, non sono già così importanti da visitare.

Adesso ci parleremmo di un altro percorso che attraversa il territorio matarragnese: l’antica ferrovia del Val de Zafán, adesso diventata una pista ciclabile e pedonale, che è un altro fascino del territorio matarragnese.

L’antica ferrovia del Val de Zafán

Innanzitutto dobbiamo parlare cosa sono le Vie Verdi, las Vias Verdes in spagnolo. Sono itinerari che percorrono sulle ferrovie abbandonate, che sono state trasformate al fine di permettere al visitante di godere della natura e la cultura dei territori per cui transitano. Questi itinerari sono un’offerta turistica che coniuga la cultura, la natura, l’educazione con lo sport.

La via verde di Val de Zafan parte da Alcañiz e la Puebla de Hijar fino a Tortosa, un percorso di circa 150 chilometri, ed è stata una via più storica che utilizzata. Faceva parte di un progetto per avere un ferrovia che unisse il porto maritimo di Sant Carles de la Rapita con l’interno regionale dell’Aragona, e come altri progetti da fare un’unione per avere Aragona una uscita maritima, come i canali navigabili che unissero Zaragoza con il mare, sono caduti nella dimenticanza assoluta. La ferrovia è stata abbandonata dopo la Guerra di Spagna per disuso, fino che si porta a termine il progetto di via verde, che in territorio matarragnese ha un percorso di quasi 25 chilometri. 

Viadotto dell'antica ferrovia di Val de Zafán

È una via sicura, dunque la circolazione dei veicoli a motore è vietata in tutto il suo percorso. Siccome ci sono pendi morbide, la via è accessibile a persone a mobilità ridotta. Ci parliamo un po’ sulla via verde di Val de Zafán in territorio matarragnese.

Si localizza tra la stazione di Valljunquera/Valjunquera e la stazione di Lledó – Arnes. È accessibile dalle stazioni di Valljunquera/Valjunquera, la Vall del Tormo/Valdetormo, la Torre del Comte/La Torre del Compte, Vallderoures/Valderrobres, Queretes/Cretas e Lledó – Arnes, tutte con parcheggio per le macchine a eccezione della stagione di Torre del Comte, dovendo lasciare la macchina a Torre del Comte, a circa due chilometri della stazione. La via si prolunga all’ovest fino a Valdealgorfa (già nel territorio della Bassa Aragona di Alcañiz) e all’est fino a Tortosa, capoluogo del territorio del Basso Ebro catalano.

Gli utenti della via possono essere a piedi, in bicicletta, a cavallo, essere persone a mobilità ridotta, pattini..., qualsiasi forma di fare il percorso tranne i veicoli a motore: macchine, motociclette...

La distanza totale è di 29,5 chilometri, con una difficoltà mezza-bassa e un dislivello totale di 176 metri. Si può fare a piedi in circa 7 ore ed in bicicletta in circa 3 ore. Ci sono aree di sosta in tutto il percorso, soprattutto nell’antiche stazioni.

Ci sono due viadotti, uno sul fiume Algars, tra le stazioni di Lledó – Arnes e Queretes, e un altro, di interesse architettonico, sul fiume Matarragna, tra le stazioni di Torre del Comte e la Vall del Tormo.

Anche ci sono tre tunnel, il più lungo dei quali è tra la stazione di Torre del Comte e la Vall del Tormo, ed è per questo che ci si raccomanda di portare una pila o qualsiasi dispositivo che abbia la luce.

Come abbiamo detto prima, la stazione della Torre del Comte è diventata un albergo e ristorante di lusso.

Il paesaggio è bellissimo: la campagna mediterranea del territorio matarragnese dà uno spunto eccezionale: gli ulivi, i mandorli, le vigne, ma anche le foreste di pini e le quercie, insieme alle valli dei fiumi Algars e Matarragna, dalla via si può avere un buon belvedere alle montagne di Beseit.

Culturalmente, lo abbiamo già visto: chiese, castelli, giacimenti archeologici, ponti, palazzi, portoni, prigioni e palazzi del Comune in tutti i paesi del Matarragna.

Inoltre, c’è un rete di sentieri da fare a piedi o in bicicletta, fino a 200 chilometri adatti, e che in qualche punto si collegano alla via verde.

Un ultima cosa: ci si raccomanda di portare una buona calzatura, una borraccia, oppure acqua abbondante, perché non ci sono troppe fonti, camera per gli pneumatici (se ci si porta la bicicletta), il casco, e come abbiamo detto prima, la pila o qualsiasi dispositivo con la luce.

Ed andiamo via!!!

Per finire, faremo un bel percorso per i prodotti tipici matarragnesi e la sua cucina, molto diversa e buona come prodotti ci sono. Andiamoci!!!

I prodotti della terra matarragnese e la gastronomia: un paesaggio culinario.

Gli eccelenti prodotti del territorio del Matarragna sono il frutto della consacrazione e lo sforzo dei suoi abitanti. Da una sfida personale e un’azione accurata, i suoi produttori creano una marca indiscutibilmente matarragnese, e ottengono i migliori prodotti dalla terra al fin di portarlo alla cucina e, infatti, al tuo tavolo.

I processi di elaborazione continuano le tecniche tradizionali, eredità dei loro antenati, incorporando gli ultimi progressi per ottenere questi prodotti di qualità riconosciuta ed, in qualche caso, sotto la denominazione di origine geografica.

In tutti i paesi possiamo degustare una magnifica gastronomia basata nei prodotti della terra, come il vino, il prosciutto, l’olio, il tartufo, il miele, le pesche, i salumi, le ciliegie, le mandorle, i formaggi, i dolci,..., ma risaltano lo straordinario olio di oliva vergine, il prosciutto e le pesche, che per la loro qualità hanno la denominazione di origine geografica.

Il visitante potrà assaporare alcune specialità di cui adesso ci parleremo, ma risaltano il cardo, i ceci, l’agnello alle bracce (il  famosissimo ternasco di Aragona), il capretto, il coniglio, la pernice e la quaglia (questi tre ultimi nella sua variante in scabecio, squisita), e i derivati della macellazione del maiale. In pasticceria, consigliamo il “coc”, le “casquetes”, i “mantecats”, gli “almendrados”, le confetture di zucca, e tanti altri.

Dobbiamo non dimenticare che all’autunno, nei boschi delle montagne di Beseit, si trova una delicatessen gastronomica di primo ordine: i funghi. 

Parliamo adesso in particolari di qualche di queste delizie gastronomiche matarragnese.

1.       Crespells: Ci sono due tipi di verdura tantissimo pregiate all’Aragona: il cardo e la borragine (la borraja in spagnolo). Questo piatto tipico matarragnese, i crespells è una tempura di questa verdura, i cui ingredienti sono l’olio di oliva, le borragini, il miele di rosmarino, farina di tempura e l’acqua. Sono buonissimi!!!

2.       Casquetes alla padella: È uno dei dolci tipici del Matarragna. È una specie di pasticcino dolce, fatto da confetture di zucca, olio di oliva vergine, acqua, le uova, farina e un po’ di acquavite. Dopo il pasticcino si impana col zucchero. Sono anche buonissimi.
 
Casquetes alla padella

3.       Hortereta de l’hort: è una specie di “paella”, fatta da questi ingredienti: l’olio, la sale, l’aglio, lo zafferano, il prosciutto e la pancetta, le lumache, la cipolla, i fagioli, il peperone rosso e verde, la zucca, le bietole, le patate, il pomodoro, il riso (ovviamente) e il fiore di zucca. Ho detto che è una specie di paella perché la cottura si assomiglia al piatto valenciano per eccelenza. Date un’occhiata, perché ha un bellissimo aspetto.

4.       Stufato di agnello (il tipico Ternasco di Aragona): Il piatto tipico dell’Aragona per eccelenza, l’agnello è stata una carne molto pregiata nella regione. Gli ingredienti per fare questo stufato sono: la spalla dell’agnello, la sale, il pepe e la paprica rossa dolce, l’aglio, l’alloro, il vino, le cipolle, le patate e l’olio di oliva. Preparato e servito in una casseruola di terracotta, fa un buon odore che fa venire l’appetito...

5.       Fesols en pataca i carxofera (i fagioli con le patate e il carciofo): un altro stufato, ma invece di star fatto con l’agnello è fatto col maiale. Gli ingredienti sono: il salsicciotto, le patate, l’orecchio e le ossa del maiale, la pancetta, i fagioli, le carciofe, la sale e l’olio di oliva. Molto calorico...

6.       Redots alla padella: un altro dolce, buonissimo, gli ingredienti del quale sono: le uova, il latte, l’olio di oliva, il zucchero, il lievito, la raschiatura del limone, la farina, l’acquavite o l’anice. Sono come ciambelline impanate da zucchero.
Redots alla padella


7.       Talladetes del gorrino (pezzetti di maiale) o la Magra en tomata (lombata di maiale al pomodoro), sono altri piatti fatti dalla carne di maiale. Le “Talladetes” è pratticamente uno scabeciato fatto dalle frattaglie del maiale, la pancetta, l’aglio, il prezzemolo, l’aceto (basico per lo scabeciato), l’olio di oliva, la farina e l’acqua. La “Magra en tomata” è una frittura di prosciutto, il pomodoro, le uova e l’olio di oliva, e si prepara come l’uovo all’occhio di bue.

8.       Coc de pa, o de primentó, o di qualsiasi cosa che si voglia mettere: Il Coc è una specie di pizza tipica di tutta la striscia territoriale che confina con la Catalogna. Da Fraga, nel Basso Cinca fino a Vallderoures nel Matarragna o Alcañiz nella Bassa Aragona, è molto tipico. C’è chi dice che la pizza italiana è originaria in questo territorio aragonese (ovviamente sono cose diverse...). Per fare la massa, si usano le uova, il latte, l’olio di oliva, il sale, il lievito e la farina. Si impasta bene e si copre di qualsiasi prodotti che si voglia, come il pomodoro, il peperone rosso o verde, o la sardina, ecc...

9.       Mantecats i almendrados: dolci fatti a base di farina, uova, strutto e zucchero, e nel caso dei “almendrados”, anche si usano le mandorle. Sono buonissimi per mangiare insieme a un buon cappuccino.

10.    Gli scabeciati di pernice, quaglia o coniglio: per finire, anche se ci sono altri piatti buonissimi a scoprire, non volevo finire senza parlare degli scabeciati, un piatto tipico dell’Aragona. Anni fa, quando non c’erano i frigoriferi in ciascuna delle case, c’erano tantissimi modi di conservare il cibo. La sale è stata uno dei modi. Anche il ghiaccio fatto in depositi fatti apposta, che qui si chiamano neveros, dove si accumulava la neve, e dopo si vendeva in blocchi di ghiaccio. Ma il modo più tipico di questa regione per conservare i cibi, soprattutto la carne di alcuni animali, come la pernice, la quaglia o il coniglio, è stato lo scabeciato. Come si prepara lo scabeciato: lo scabecio è un modo di conservazione fatto con l’aceto. Si bagna il cibo previamente precucinato mediante un brodo fatto da aceto, olio di oliva vergine, vino, l’alloro e pepe in grano. È di origine araba, e dà al cibo un sapore forte ma buonissimo, se si prepara bene. I ristoranti matarragnesi e, per estensione, i ristoranti aragonesi sono esperti in piatti scabeciati. Non dimenticare di assaporirli!!!



E qui finisce questo percorso per la “Toscana spagnola”, quel territorio che Vogue così ha definito per il fascino e questa sensazione di amorevoli che si traspira dal territorio, con i suoi paesi, i suoi paessaggi o i suoi alberghi che tratano i visitanti di una forma accogliente e sempre viva. Forse siete stati e potete dare il vostro avviso. Conoscete altre possibile Toscane nella penisola Iberica? Io credo di sì, affascinanti come il Matarragna è il territorio catalano dell’Empordà. Ma questo non resta l’importanza alla Toscana matarragnese. Che ne pensate?