IL LINGUAGGIO DEI GIOVANI E L’ITALIANO (CHE CAMBIA): “LO SLANG AIUTA A DIVENTARE ADULTI”
Vera Gheno (Accademia della Crusca): “i neologismi
nascono per un motivo semplice: perché servono”.
Pubblicato il 28 aprile 2015, ADNkronos
In principio era il verbo, poi arrivò scialla. Una lingua nasce, cambia, si
rinnova. E lo fa anche (o soprattutto) grazie ai neologismi inventati dai
giovani o portati nel linguaggio comune dai grandi cambiamenti, come quello
innescato da Internet.
Dopo la creazione, arriva la diffusione. Nel
caso di scialla (che vuol dire stai tranquillo, rilassati ),
probabilmente è stato grazie al film del 2011 di Francesco Bruni – tratto
dall’omonimo romanzo di Giacomo Bendotti – che la parola ha raggiunto un gran
numero di persone, molto al di là della cerchia dei più giovani.
Ma perché nascono i neologismi? “Il motivo
più semplice è: perché servono”. Non ha dubbi Vera Gheno, Twitter Manager e
collaboratrice dell’Accademia della Crusca, che all’ADNkronos dice: “Abbiamo un
nuovo significato, come dice il linguista svizzero Saussure, ovvero un
concetto, una cosa, un oggetto, qualcosa insomma che prima non c’era e che
quindi ha bisogno di un nome, ovvero, per dirla sempre alla Saussure, un
significante”.
“Si possono creare parole nuove per gioco –
prosegue – per voglia di fare esperimenti con la lingua. Non a caso i linguaggi
giovanili e i linguaggi telematici, particolarmente giocosi, sono terreno fertile per la creazione di neologismi”.
Sono infatti loro, i ragazzi, che continuano
ad usare la gran parte di espressioni in codice per capirsi senza troppe giri
di parole. Così se due amici si dicono quella
è una busta, i loro coetanei sanno che stanno parlando di una cozza o ciste, scaldabagno, lavatrice, scallapizzette. Ovvero, una
ragazza non bella.
Una vera e propria Slangopedia, come la
chiama Maria Simonetti nel suo Dizionario
dei gerghi giovanili, edito da Stampa Alternativa. Nel libro, sul versante
delle parole mutuate dagli animali, ci sono tra le altre mi cangura (per indicare che una questione non mi riguarda ) e inscimmiarsi
(per chi si concentra su una sola
cosa e la ripete in modo ossessivo ).
E, ancora, chiamare limone chi si circonda di cozze,
rimastino chi alle feste non balla, rimastone l’over 40 che si veste e si
comporta da giovane (ma il giovane dei suoi tempi), oppure sdraiona per una ragazza molto emancipata e dentiera per riferirsi alla prof o – in senso lato e un po’ perfido
– agli anziani.
A questi si accompagnano i più storici trescare (avere un flirt ), camomillarsi
(calmarsi ), tranqua (tranquillo ), sbalconato (essere fuori di testa ), incicognarsi
(restare incinta ) e citofonarsi (chiamare qualcuno per cognome ).
Tutte queste
espressioni come si diffondono? “In generale – aggiunge Vera Gheno – un
neologismo inizia a circolare se è utile, o se piace, oppure se viene usato da
qualcuno che ammiriamo: oggi si potrebbe parlare di influencer, ovvero personaggi
che in qualche modo sono in gradi di influenzare i gusti delle persone.
Sicuramente, un neologismo può venire veicolato da un film, da un libro o da un
social network, ma contano moltissimo le persone, in questo processo”.
Dalle persone al web, il passo è breve. Non
si può negare che anche Internet abbia cambiato il modo di comunicare, non solo
nella realtà di quali modi vengono usati per parlare (applicazioni, chat,
social network) ma anche nelle espressioni mutuate dal mondo dell’on line.
Del resto, se dieci anni fa qualcuno avesse
detto “mi whatsappi la foto che hai twittato così la posto su Facebook?”,
molti – forse chi era over una certa età – avrebbero alzato un sopracciglio
perplessi. Oggi probabilmente, no.
Tanto che del linguaggio mutuato dal mondo
dell’Information and Communication Technology e da quello dell’informatica
fanno parte anche parole come bannare (bloccare l’accesso, escludere ), loggarsi (effettuare un acceso ), cliccare
(parola onomatopeica per indicare di
premere un pulsante ), crackare (aggirare le protezioni di un programma
), scrollare (scorrere la rotella del mouse per leggere una pagina sul web ) o
zippare (comprimere file in una cartella
per occupare meno spazio ).
“Certamente – sottolinea Vera Gheno – i
nuovi media hanno velocizzato la circolazione di notizie, parole, espressioni;
basti pensare alla facilità con cui tutto oggi può diventare virale, o magari un meme: i vecchi tormentoni oggi si
chiamano così”. Una sorta di contenuto intergenerazionale, compreso e condiviso
sui social da figli e genitori allo stesso tempo.
Esistono naturalmente differenze di
linguaggio tra generazioni ma “anche all’interno della stessa generazione –
afferma – possono cambiare letteralmente da gruppo a gruppo, da compagnia a
compagnia e la nascita e morte di parole nuove è sempre stata velocissima,
forse oggi ancora di più, semplicemente perché si può arrivare prima alla fase
del tramonto, del non poterne più”.
Veloce, ma anche utile? Ovvero, lo slang
arrichisce la lingua? “I linguaggi giovanili – dice la Twitter Manager e
collaboratrice dell’Accademia della Crusca – sono delle varietà particolari
perché sono di transizione tra la fase dell’infanzia e la fase della maturità.
Servono moltissimo per costruire il sé crescendo e tale autodefinizione deve
per forza passare da una fase di rottura con le generazioni precedenti”.
Quindi, afferma, “questi slang appariranno
sempre strani e brutti ai vecchi ma normale che sia così. Poi si cresce e in
teoria si abbandonano i giovanilismi, anche se questo non sempre avviene”.
Crescendo, infatti, “si dovrebbe ridurre l’uso di stilemi del linguaggio
giovanile”, anche se, ammette la Twitter Manager e collaboratrice dell’Accademia
della Crusca, “la pervasività dei nuovi media ha allargato la forbice
anagrafica” di chi li usa.
Tanto che potremmi trovare un 40enne che sui
social usa le stesse espressioni dei 20enni, entrando da fuoriquota in gruppi
anagraficamente lontani da lui, considerando che “il linguaggio giovanile e
quello dei nuovi media, spesso, si sovrappongono”.
Inoltre, “nella comunicazione giovanile è
implicita una funzione tribale”, afferma Vera Gheno, una sorta di “codice per
riconocersi fra simili ed escludere gli altri dalla comunicazione del gruppo”,
all’interno del quale “il lessico permette l’identificazione, anche attraverso
epiteti o soprannomi a volte crudeli”. Ci si rende conto che certi nomignoli
possono ferire la sensibilità delle persone? “Non sempre. La coscienza
dell’offesa viene dallo sviluppo”.
Offese a parte, però, lo slang rimane
insomma una risorsa per l’autodefinizione e finisce per conquistare anche chi
giovane non è più: “A volte – conclude Gheno – succede anche che elementi di
questi linguaggi finiscano nel parlato di tutti i giorni. Con la loro velocità,
i linguaggi giovanili rappresentano una formidable fucina di idee linguistiche,
alcune assolutamente transitorie, altre destinate a rimanere”.
“BELLA, REGA’!” – LEZIONI DI GERGO GIOVANILE
Robin d’Ilario. Pubblicato il 8 gennaio 2013, il Corriere
Italiano
Come i giovani di molti paesi del
mondo, anche quelli italiani hanni dei propri gerghi che li distinguono dagli
adulti. Senza addentrarci in un’analisi di come e perché si sviluppino questi
particolari linguaggi, diciamo che l’uso di un gergo ha una funzione
identitaria e di autoaffermazione per gli adolescenti, che hanno nella giovane
età il tratto che li distingue da genitori, insegnanti, ecc. Lasciando da parte
le analisi sociologiche, questi gerghi spesso bizzarri e bislacchi, per non
dire pintoreschi, ci offrono lo spaccato della mentalità e delle abitudini
giovanili. Non è un caso che la maggior parte di queste parole abbia a che fare
con la scuola, con l’amore, il sesso, la droga, il divertimento. Dico gerghi al
plurale, e non al singolare, perché è pressoché impossibile tracciare una mappa
precisa e dettagliata del gergo usato dai giovani italiani: non ne esiste uno
comune a tutta l’Italia, ma varia di regione in regione, addirittura di città
in città. Il lessico, poi, subisce ricambi molto rapidi nel tempo, le parole
usate da una generazione non sono più quelle dei ragazzi di dieci anni prima.
Qui ci limitiamo a riportarne alcune, con particolare riferimento al gergo dei
ragazzi di Roma.
Accannare: smettere, cessare,
farla finita con qualcosa o qualcuno. Es.: Quella tipa s’accola, accannala! Sto gioco mi ha stufato, rega’, accanniamolo.
Accollarsi: essere appiccicosi
come la colla, essere molto insistenti e, spesso, non desiderati. Es.: Quanto si accolla quello. Esiste anche come sostantivo nella forma accollo. Es.: Quella tipa è un accollo!
Bella: non è un aggettivo,
ma un saluto. Si può usare quando ci si incontra con un gruppo di amici, ad esempio: Bella, rega’, come
va?. È un saluto molte amichevole e
vivace, usato sia quando si incontra qualcuno, sia quando ci si congeda.
Devasto: devastazione,
sfacelo, gran disordine. Il devasto può verificarsi dopo una festa molto
movimentata in cui una casa è stata messa a soqquadro, suscitando l’inevitabile
commento degli astanti: “Che devasto!”.
In questo senso può avere un’accezione
positiva, poiché se una festa viene definita un devasto vuol dire che è stata particolarmente vivace
e sfrenata (esempio: “Non puoi capire che devasto a Capodanno!”). Chi
ha partecipato a una serata devasto
probabilmente si è devastato,
cioè si è dato a festeggiamenti sfrenati
che alla fine lasciano stremati.
Flashare/flesciare: attestato in due
diverse forme grafiche, può avere il significato di vedere di sfuggita, credere
di aver visto qualcosa o qualcuno, per un istante, rendendosi poi conto di
essersi sbagliati. Esempio: “Per strada ho flashato Mario, ma non era lui”. Altrimenti può significare anche immaginare,
credere una cosa che non si è affatto verificata, come nell’esempio: “Non
ho mai detto così, hai flashato”.
Presa a bene: locuzione usata per
designare qualcosa che mette di buon umore, che diverte, fa rilassare. “Quel film è proprio una presa a
bene!”. Usato anche come verbo:
“Questa canzone me l’ha fatta proprio prendere
a bene”. Esiste anche l’esatto
contrario, cioè la presa a male, con un significato molto vicino a quello di scesa (vedi oltre).
Rate: si dice che qualcosa fa rate quando fa schifo, è di pessima
qualità, scarso. Es.: “Questa canzone fa
rate”. Usate anche come generica
esclamazione di disgusto: Che rate!”.
È possibile anche una sua funzione
aggettivale, ad esempio si può dire che se un telefonino è diffettoso è un telefonino
rate. Difficile caprine
l’etimologia, anche se è probabile che non derivi dal sostantivo rate, ma dal
verbo radere.
Scesa: si dice di qualcosa
che mette di cattivo umore, che fa passare l’allegria e l’entusiasmo. Se per
esempio ci si reca ad una festa pensando che sarà molto movimentata e si rivela
invece molto noiosa, si può dire che “è una scesa di festa”. Usato anche come esclamazione: “Che scesa!”.
Sclerare: impazzire, uscire
fuori di senno, dare di matto. Probabilmente deriva dal termine medico
“arteriosclerosi”, che indica una patologia per cui si subisce una progressiva
perdita di senno e di lucidità. Es.: “Oggi la prof.
si è arrabbiata di brutto e ha sclerato”.
Svarionare: deriva dal termine svarione,
che indica un grave errore, spesso grossolano. Questo verbo significa dunque dire assurdità, dire cose che non
stanno né in cielo né in terra. Es.: “Gianni era
ubriaco e svarionava di brutto”.
Taglio (tajo): qualcosa o qualcuno di molto divertente, che fa ridere.
Es.: “Quel film è un tajo” o “Quel tipo è un tajo!”.
Possibile anche come esclamazione
autonoma in qualsiasi situazione divertente: “Che tajo!”.
Scialla: facendo un piccolo torto all’ordine alfabetico, eccoci infine alla parola
che dà il titolo a questa rubrica. È una delle espressioni più comuni del gergo
giovanile, nata a Roma ma diffusasi anche in altre parti di Italia. Significa stai tranquillo, rilassati, non c’è
problema, non ti preoccupare e così via, un po’ l’equivalente dell’inglese take it easy. È usata come esclamazione
per comunicare agli altri serenità e rilassatezza, in contesti come: “Quando comincia il film? Scialla,
c’è ancora tempo”. Si tratta di
un’interiezione indeclinabile, ma esiste anche come aggettivo, e come tale può
essere declinato in altri modi; si può dire ad esempio “una serata scialla” così come “un pomeriggio sciallo”, “un posto sciallo”, ecc., con il significato di tranquillo, rilassato, ok. Da questa parola sono derivate anche forme
verbali come sciallarsela, stare scialli.
Esempi: “Stasera me la sciallo
a casa a vedere un film”; “Scialliamocela
qui finché non decidiamo cosa fare”, ecc.
L’etimologia della parola è incerta. Secondo una teoria
sarebbe un prestito dall’arabo “inshallah”, espressione che significa all’incirca
“se Dio vuole”, e che indica dunque un atteggiamento di accetazione del
destino, delle circonstanze, un affidarsi agli eventi senza angoscia, Non
stupisce che una parola che esprime un concetto del genere abbia attecchito in
particolar modo a Roma, dove ben si adtta all’atteggiamento tipico dei romani,
spesso rilassato, scanzonato e disincantato. In più i giovani vi hanno aggiunto
una loro tipica pigrizia e indolenza giovanili, quasi ad esprimere una
filosofia di vita che esorta ad essere tranquilli, a non angustiarsi
inutilmente, a prendere le cose con serenità.
Se l’argomento
vi ha interessati e volete saperne di più, scialla,
ci torneremo in una delle prossime rubriche.
Robin D’Ilario.
E-mail:robin.dilario@hotmail.it
Tutte le lingue
hanno un gergo speciale fatto dai giovani e per i giovani, fatto da neologismi
e dalla lingua colloquiale. Adesso vi metto un esercizio dove dovresti abbinare
la parola italiana col suo significato in spagnolo. Provateci. Sicuro che lo
abbineresti bene:
1. Attacare pezza a) imbécil
2. Baccagliare b) colega, brother
3. Prendere per il culo c) un beso (acrónimo lenguaje sms)
4. Fricchettone/a d) ser un crack
5. Homy e) pegar la paliza
6. Joint f) camello
7. Mandrake g) tirar los tejos
8. Mezzasega h) hortera, quillo
9. Pusher i) tomar el pelo
10. Shampista j) porro
11. Tamarro/a k) hippy
12. Ub l) pringao
Adesso, invece, faremo il contrario:
daremo la parola in spagnolo e dovresti abinarla con la parola o il signifcato
in italiano. Come prima, provateci! Sicurissimo che lo abbineresti bene...
1. Abrirse a) pulotto
2. Trola b) bocconcino
3. Bollicao c) squatter, punkabbestia
4. Chirona d) benza
5. Chupito e) fichetto, chiattillo (nap.),
pariolo (rom.)
6. Encoñarte f) balla
7. Gasofa g) cicchetto
8. Jipiar h) fare vento
9. Madero i) al fresco
10. Okupa j) vederci
11. Pijo/a k) smammare
12. Hacer un simpa l) starci sotto
Che ne pensi del gergo giovanile? È anche importante
conoscere il gergo della giovinezza attuale per provare di capire le sue
abitudini o le sue preoccupazioni? È anche importante il gergo nella tua
lingua, catalano, spagnolo o qualsiasi altra che ne parli?
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