Cercasi pizzaiolo
Il forno cerca un vero professionista
Italia vuol creare la figura del lavoratore qualificato al fine di tutelare la qualità del prodotto
Piergiorgio M. Sandri. Barcellona. Tradotto
dalla Vanguardia (30 lug. 16)
Cercasi pizzaiolo. Mica uno qualsiasi. Un
vero professionista. Italia, culla della pizza, vuol creare una “laurea”
ufficiale e un collegio che riconosca il lavoratore qualificato nel settore
pizza. Una proposta di legge è stata presentata al Senato settimane fa ed è
prevista la sua approvazione dopo l’estate.
Chi voglia vantarsi di sapere cucinare
l’autentica pizza italiana dovrà superare delle prove: dovrà anche superare
delle pratiche di 18 mesi, dei esami teorici e delle lezioni di 120 ore che
comprendono le nozioni di chimica, tecniche di laboratorio e di igiene, fino
alla conoscenza specificata dell’inglese.
L’iniziativa ha una motivazione
sorprendente: la mancanza di pizzaioli di qualità. Si stima che nel paese ci
sono più di 10.000 vacanti. La richiesta supera l’offerta. Anche se lo
stipendio di un vero pizzaiolo può superare i 3.000 euro mensili. Ma buoni e
veri pizzaioli ci sono ogni volta di meno e incluso in Italia (dove lavorano
nel settore quasi 100.000 persone) c’è tanta scarsità che si deve andare
all’estero a cercarli.
Secondo i dati della Coldiretti, quattro di
ogni dieci pizzaioli in Italia provengono dall’estero: in particolare
dall’Egitto, dalla Tunisia e dal Morocco. In città come Milano, più della metà
delle pizzerie non sono italiane.
Non è per pattriottismo o per
protezionismo: gli esperti in questo alimento si lamentano che la qualità della
pizza, in un paese di riferimiento come l’Italia corre pericolo di cadere a
picco se quelli che cucinano non hanno le conoscenze adatte. In effetti, molte
delle pizzerie (infatti non solo in Italia, anche in Spagna) non manipolano
bene la pizza, o non si servono degli ingredienti tradizionali: pomodori della
Cina o mozzarella della Lituania, olio di oliva della Tunisia e il frumento del
Canadà solo per citare i casi più appariscenti che denunciano le associazioni
del settore. Queste fonti stimano che due di ogni tre pizze che si servono nei
ristoranti non si adattano a questi requisiti.
Enzo Prete, presidente della Amar (Associazione Maestri d’Arte
Ristoratori Pizzaioli) e uno dei promotori di questa proposta di legge, crede
che la situazione è grave. “Gli italiani aspirano ad essere amministratori
delle sue aziende e non vogliono più mettersi dietro il forno. Ci sono pochi
aspiranti e ogni volta esiste più intrusismo professionale”.
Ma la pizza, insomma, è una cosa seria:
l’Associazione di Pizzaioli Napoletani ha incluso lanciato una campagna perché
la pizza sia nominata come Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Pertanto la
questione è di attualità: come deve essere l’autentica pizza italiana?
All’attesa che il pizzaiolo ottenga una
riconoscenza ufficiale che certifichi le sue abilità, come riconoscere se il
piatto che è appena servito è stato cucinato d’accordo con i modelli
gastronomici stabiliti? Walter Caputo e Luigina Pugno, due divulgatori
scientifici, hanno appena publicato un libro che parla sul serio sulle chiavi
per ottenere una buona pizza: Pizza al
microscopio.
Raccontano che durante le vacanze
nell’Algarve, in Portogallo, hanno mangiato una pizza che “non era degna di
avere questo nome: la base sembrava di legno, sulla quale hanno messo il formaggio
e il ketchup”. L’esperienza gli ha marcato e si sono messi sul serio per
scrivere un libro su questo argomento.
L’autentica pizza dovrebbe essere cucinata
in un forno di legna a forma di cupola, a una temperatura tra i 450 e i 600
gradi, in un tempo che deve oscillare tra i 60 e i 90 secondi, con gli
ingredienti naturali: pomodori (meglio se si servono dei pomodori della varietà
San Marzano), fresco o triturato – mai a base di concentrato –, mozzarella (di
mucca o di buffala) e soprattutto una massa che, elaborata con l’acqua con la
temperatura tra i 20 e i 35 gradi, abbia almeno due ore di riposo.
“Abbiamo verificato che spesso non si
rispetta questa pausa per guadagnare il tempo”, avvertono. Per Enzo Prete, è
imprescindibile valutare l’uso degli ingredienti di chilometro zero ed evitare gli
errori più comuni, come l’eccesso di lievito, che rappresenta una bomba a
orologeria per la digestione, con la sensazione che il cibo finisca per
gonfiarsi nello stomaco”.
Un inciso: pur seguendosi i consigli, a
casa, con il forno elettrico, è tutto più difficile, perché la temperatura è
troppo bassa e l’assorzione dell’umidità è eccessiva, è si corre pericolo che
la pizza abbia una struttura simile a quella di un biscotto. Caputo e Pugno
consigliano di mettere sotto la pizza una pietra refrattaria e un recipiente
con un po’ d’acqua, e così si migliora la cottura.
D’una altra parte, le indagini degli autori,
che analizzano i composti chimici degli ingredienti della pizza, sono arrivati
alla conclusione che finisce con un altro dei miti sulla pizza: ingrassa?. “La
pizza è un cibo completo perché ha le grasse dell’olio, le proteine del
formaggio e gli idrati di carbonio della massa. È un alimento completo, e non
si è bisogno di mangiare niente di più dopo averla mangiato, e neanche è
necessario mangiarla ogni giorno”, dicono.
Dunque la pizza nasce come piatto della
classe popolare, nella seconda metà del secolo XIXessimo, nella
provincia di Napoli. Davanti alla scarsità d’alternative, con la pizza ci si
stava saziato senza spendere troppi soldi. Nell’attualità le cose hanno
cambiato tantissimo perché alla pizza, che è troppo popolare fino a diventare
un piatto universale, gli sono usciti nuovi “rivali”. Dal sushi, il kebab o
l’hamburguer, oggigiorno il cliente ha tantissime opzioni per saziare la sua
fame.
Quindi, se alla fine i pizzaioli ottengono
la loro riconoscenza per diffondere il mantra dell’autentica pizza italiana,
forse otterranno qualcosa in più: mantenere il suo fascino come cibo versatile,
sano e divertente. “È sinonimo di festa, di stare insieme. La pizza piace a
tutti. Alla fine del pasto, tutti si sentiranno soddisfatti”, ricordano gli
autori del libro. E se la pizza la cucina un pizzaiolo con il certificato
ufficiale, probabilmente saprà incluso meglio.
Come riconoscere una buona pizza al forno di legna
(fonte: “La pizza al microscopio”, de Walter Caputo e Luigina Pugno. La Vanguardia 30 lug.’16)
1. La dimensione è
importante: la regola dice che, a stessa
quantità di massa, se il diametro è superiore ai 32 centimetri, la massa sarà
eccesivamente fine, sottile, e si corre pericolo di bruciarsi. Invece, se si
serve una pizza più piccola, il suo eccessivo spessore farà che la pizza stia
cruda.
2. L’odore: l’autentica pizza deve fare odore a pane. Se non succede così, vuol dire
che il forno non stà pulito, oppure che gli ingredienti usati non sono di qualità.
3. Il taglio: è una delle principali prove. Se non si taglia bene è perché sta poco
cotta. Se sta eccessivamente dura, è troppo cotta, e se al taglio si sente un
scricchiolo, sta secca!
4. L’orlo: devono avere delle macchie scure. Se non ce li hanno, vuol dire che la
pizza è cruda, e se ci sono troppe, allora è bruciata. La pizza non deve stare
nel forno più di due minuti.
5. La base (guardare
sotto!): deve avere una minima presenza di
cenere (ma non di particole bruciate). Se la base è bruciata, vuol dire che il
forno no si è preparato bene. Il forno ha bisogno di alcune ore di acceso prima
per avere una temperatura di più di 400 gradi.
6. Il condimento: la disposizione sulla pizza è importante: se i condimenti non si
collocano di un modo uniforme, a parte il fatto che si difficolta il taglio,
vuol dire che gli ingredienti non si sono manipolati di un modo corretto.
7. Il formaggio: deve essere mozzarella fatta da latte di mucca o di buffala, ma è
necessario scolarla prima della cottura. Altrimenti una “pozza” di latte
apparsa sulla pizza farebbe che la pizza fosse un po’ “liquida”.
Ci sono
tantissime varietà di pizze che mi viene di fare questa domanda, per avere la
vostra opinione: quale è la vostra varietà di pizza preferita? Come vi piace la
pizza? E, quale è la vostra opinione su queste pizze fatte delle ditte che
fanno cibo “fast food”? Considerate che è una buona pizza oppure fa schifo?