jueves, 22 de septiembre de 2016

Turismo: le città assediate?



Il racconto. Degrado a Venezia, la città è assediata. Tuffi nei canali e bivacchi ovunque. La rivolta dei residenti contro i turisti senza freni. Una coppia ha messo in affitto su Internet un palazzo extra lusso. La Finanza: tutto abusivo


GIAN ANTONIO STELLA. Il Corriere della Sera. 19.08.2016

   Maiali, no grazie. Certo che era una provocazione, il manifestino affisso sui muri di Venezia da un gruppo venetista con un suino in mutande che buttava pattume per terra sotto la scritta “No welcome!”. Un sfida offensiva verso tutti turisti rispettosi del decoro delle calli. È solo l’ennessimo segnale, però, che i veneziani non ne possono più dell’agressione di un turismo di massa devastante. E il video su YouTube dei ragazzi decisi a tuffarsi nel Canal Grande come fossero a Torvajanica è l’ultima goccia che fa traboccare il vaso. Somo passati trent’anni da quel estate del 1986 in cui l’allora assessore al Turismo Augusto Salvadori scatenò l’iradiddio sui giornali internazionali e sulla CBS (“Tre minuti tutti per me. Mi hanno detto: assessore, questo è il microfono, parli. E mi go parlà. Asciutto, incisivo, brillante: tutti i mali di Venezia. Il tappetto umano di sacchi a pelo davanti alla stazione, i picnic a San Marco, la gente che orina sulle saracinesche, i turisti che attraversano la città in gommone senza neanche la canottiera, i gondolieri che ai clienti non cantano le canzoni nostre”).


 
Scene di ordinario caos

   Tre decenni e molti sindaci dopo, i problemi non solo non sono stati risolti ma si sono aggravati. Gente che fa pipì sui muri senza nemmeno cercare più gli angoli nascosti. Giovanotti in bicicletta per le calli. Tende canadesi piantate qua e là nei giardini o nei campielli. Tovaglie stese sulle rive da famigliole che fanno il picnin manco se si trovassero in un’area di sosta sull’autostrada. Avvinazzati stesi nei sottoporteghi sfatti dall’alcol e completamente nudi. Bottiglie ammucchiate all’ingresso della basilica di San Marco perché con le nuove disposizioni antiterrorismo da qualche parte devono lasciarle e gli spazzini non ce la fanno a stare dietro ai cestini della zona dai quali, come ha scritto il Corriere del Veneto vengono rimossi 30 metri cubi al giorno di immondizie. Borseggiatori a tempo pieno sui vaporetti, a dispetto dei controlli che in questo solo mese di agosto hanno visto il fermo di 120 ladri. Sequestri quotidiani di paccottiglia “italian style” falsa sfornata da laboratori cinesi o napoletani. Per non dire, appunto, del quotidiano bagno nei canali di visitatori italiani e stranieri, giovani e meno giovani che mai oserebbero mettersi in slip o bikini in altre città del mondo.Come i “foresti” di campo San Vio che, svergognati sul web da una veneziana, guardano la signora che dice loro in inglese e in tedesco che “non è permesso tuffarsi nei canali” e che “Venezia non è Disneyland”, con aria stupefatta. Come pensassero: che storia è questa, Venezia non è Disneyland? Non appartiene forse a chi paga sganciando euro e dollari, sterline e yen? È o non è un “divertimentificio”?




Il tweet del sindaco

   Ha scritto in un tweet il sindaco Luigi Brugnaro dopo il tuffo dal ponte di Rialto di quell’ubriaco schiantatosi su una barca che passava di sotto: “Insisto: poteri speciali alla città per l’ordine pubblico. Borseggiatori, imbrattatori, ubriachi! Una notte in cella”. Minaccia ripetuta ieri: “Stiamo costruendo tutti i passaggi formali per iniziare a colpire duro. Mai fatto”. Che dopo anni di lassismo occorra dare una stretta sulle regole per fermare il traumatico degrado di Venezia è vero. Che si possano mettere in riga i turisti (soprattutto quelli che “spocano di più e spendono di meno”) senza mettere in riga anche i veneziani che sfruttano in modo indecente l’alluvione turistica di chi visita Venezia come Las Vegas, però, pare difficile. Basti leggere il comunicato di ieri della Guardia di Finanza sui resultati della campagna contro i B&B abusivi: “Nel terzo trimestre del 2015, prima di dare avvio all’operazione “Venice journey”, erano state censite poco piú di 200 comunicazioni di inizio attività quali “locazioni turistiche”, mentre alla data odierna ne risultano inserite circa 1.900, con un incremento di nuove attività emerse di oltre 1.600 in valore assoluto, e dell’800% in valore percentuale”.



Le topaie trasformate in ostelli

   Topaie vere e proprie trasformate in ostelli da 20 euro a notte ed edifici deluxe: “’Beautiful palazzo in quiet corner of Venice’: con questo annuncio un cittadino italiano, proprietario di una palazzina di pregio nel centro storico di Venezia, pubblicizzava la sua struttura ricettiva su diversi siti Internet”, spiega la Finanza, “la locazione della magione, al prezzo variabile tra 13.000 e 25.000 euro a settimana, è dedicata soprattutto a una clientela straniera, interessata a servizi aggiuntivi di lusso quali vasca idromassaggio, bagno turco, terrazza panoramica e attracco privato per l’ingresso diretto dal canale. Quando i militari del I Gruppo della Guardia di Finanza di Venezia con la collaborazione degli agenti della Polizia Municipale laguanre sono giunti presso la struttura, ad accglierli hanno trovato un maggiordomo e personale di servizio in livrea: servizi aggiuntivi richiesti dal cliente di turno, evidentemente molto esigente. Peccato che l’attività di locazione fosse completamente sconosciuta al Fisco ed al Comune di Venezia”. “Tutto regolare, i soldi finivano sul nostro conto corrente, forse non abbiamo pagato la tassa di soggiorno...”, dicono i proprietari Giorgio e Ilaria Miani. Ci torneremo domani.



Un futuro a tinte fosche

   Fatto sta che in quell’estate della prima campagna dell’assessore “al decoro”, i giornali stranieri si concentrarono soprattutto sulla più “pittoresca” delle iniziative, l’attacco ai gondolieri che intonavano “’O sole mio” invece che con “Nineta monta in gondola” e un quotidiano locale pubblicò la classifica delle canzoni più gettonate: 1º posto “’O sole mio”, 2º “Torna a Surriento”, 3º “Santa Lucia”, 4º “Funiculì funiculà”. Oggi leggiamo reportage allarmatissimi come quello sul National Geographic di Lisa Gerard-Sharp: “Noi turisti siamo così “tossici” che sarebbe meglio rimanere a casa e cenare da “Pizza Express” dove i proventi della pizza Veneziana sostengono i restauri di Venice in Peril”. Di più: “Chi come me ama Venezia con coscienza, ha il diritto di incoraggiare altri a visitarla?”. Domanda socmodissima. Ma giusta. Recentemente il sindaco di Barcellona Ada Colau è tornata a ribadire: “Non vogliamo fare la fine di Venezia”. E ha rilanciato la battaglia contro i B&B abusivi: “Noi vogliamo una città bella, ma anche sostenibile. Fra il 2008 e il 2013 il turismo è aumentato del 18% ed è troppo per noi. Barcellona non è Parigi”. Immaginatevi Venezia, che sta per scendere sotto i 55.000 abitanti. Meno di Carpi o Vigevano. Paolo Costa, il presidente dell’autorità portuale che difende il business delle spropositate navi da crociera, sosteneva anni fa in un libro scritto con Jan van der Borg che la città di San Marco poteva accogliere al massimo 12 milioni di turisti l’anno. Nel 2015 sono stati trenta. E ci vogliamo meravigliare se non sono tutti baronetti di buona educazione?





Bivacchi, latrine a cielo aperto e bagni nei canali: il degrado dei turisti offusca il fascino di Venezia


REDAZIONE. IL HUFFINGTON POST. 21.08.2016

   Il molo a due passi da San Marco utilizzato come una latrina a cielo aperto, tuffi e bagni nel Canal Grande, bivacchi ovunque, fontane usate come lavatoi. A Venezia è allarme degrado. Presa d’assalto dai turisti, la Serenissima sta vivendo giorni difficili. Immagini impietose, quelle che rimbalzano sui social network, lontane anni luce dallo splendore della città famosa in tutto il mondo per i suoi scorci mozzafiato, la sua arte, la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.

   L’immagine della Venezia romantica, quella delle gondole e delle calli uniche in tutto il mondo, è offuscata da turisti che fanno i bisogni per terra, prendono il sole nudi nelle strade, scambiano i celebri ponti per trampolini. Una situazione che si fa ogni giorno di più insostenibile e che ha mandato i veneziani su tutte le furie. Sui muri del sestiere di Castello è comparso un cartello con un invito perentorio: “Tourists go away” (Turisti andatevene).

   L’ultima offesa alla bellezza di Venezia è la foto di una turista che si abbassa i pantaloni e trasforma il molo di Riva degli Schiavoni, a pochi passi da Palazzo Ducale, in una latrina.

   In questi giorni, Venezia non ha a che fare solo con il degrado. Ne capoluogo veneto è scoppiato il caso degli affitti abusivi: dalla palazzina di pregio, con tanto di maggiordomo e sauna dal costo di 25mila euro alla settimana all’ostello che ospitava 20 turisti a notte in condizioni igieniche disastrose. Tutte sotto la lente della Guardia di Finanza e della Polizia locale. Venezia è con l’acqua alla gola e questa volta non è colpa dell’alta marea.




Bye bye Barcellona: il documentario contro il turismo massivo

È diventata la città in un parco tematico per i turisti? Un progetto esplora il difficile rapporto tra i cittadini di fronte all’invasioni dei visitanti e il degrado dei rioni


NOELIA RAMIREZ.  16.04.2014. (Tradotto dal giornale EL PAIS)

   “Barcellona è diventata un parco tematico come Praga o Venezia, è uno scenario per i turisti”. “I cittadini siamo stanchissimi, bruciati nella nostra propria città”. “La Rambla fa adesso una figuraccia tremenda che fa venire la vergogna altrui: i bazar, persone che vomitano per terra, feste di addio al celibato...”. “Ed io già non posso più andare a comprare al mercato della Boqueria, non possiamo più andare alla Rambla ad iniziare una conversazione e passare la mattina, e sono spazi già persi della città”. “Devo sopportare che il rione della Barcellonetta sia diventato simile a Lloret de Mar?”. Queste sono soltanto un segno della delusione che alcuni barcellonesi critici con il modello di turismo massivo della città esprimono nel documentario Bye Bye Barcellona. Il progetto, che è da almeno un mese disponibile integramente sul sito Internet YouTube, sta per arrivare alle 30.000 visioni fatte e ha suscitato un intenso dibattito sulla deriva turistica di Barcellona sulle reti sociali.

   Durante circa un’ora, professori universitari, scrittori e persone legate a associazioni vicinali dei quartieri più turistici della città analizzano un modello che solo nel 2013, secondo i dati dell’agenzia turistica Turisme de Barcelona, ha alloggiato nei suoi alberghi a 7.571.766 turisti. Un milione in più che tutti gli abitanti dell’area metropolitana assieme e cinque volte in più che tutti gli abitanti che abitano a Barcellona città. Il capoluogo catalano è il decimo con maggior flusso turistico del mondo, la terza più fotografata in Google (dietro di New York e Roma) e il suo turismo genera un beneficio tra i 18 e i 22 milioni di euro al giorno. Ma che succede a questo modello di succeso e salvagente in tempo di crisi che tanto disturba ai barcellonesi?

   Strutturato in sette puntate (La Rambla, l’auge del turismo, monocoltura economica, Ciutat Vella – centro storico: il Raval, il Born e la Barcellonetta –, Sagrada Familia, Park Güell e gli appartamenti turistici), il documentario esprime il sentire di alcuni cittadini che credono di perdere il suo spazio fisico per darglielo al turismo massivo. “È l’invasione del turista e l’espulsione dei barcellonesi e dei negozi tradicionali”, si lamenta in Bye Bye Barcellona Marc Javierre, fotografo autore del libro Tourist Walk, un progetto di crowdfounding che esprime attraverso le immagini la conversione della Rambla di Barcellona “in un corso esclusivo per i turisti, colonizzato dai negozi di “souvenirs” di bassa qualità, gelaterie, ristoranti “fast food”, appartamenti turistici, alberghi e i caffè franchigie”. Javierre aggiunge che il documentario non è in contro del turismo bensì del modo in cui si gestisce.

   Insomma non è l’unico che ci pensa così. José María Perceval, professore di giornalismo dell’Università Autonoma di Barcellona, parla della “morte della Rambla”, Enric Vila, professore dell’Università Ramon Llull e autore della Breu Història de la Rambla (Breve Storia della Rambla) riconosce che “mentre i turisti la guardano con fascino, noi già non ci sentiamo riconosciuti in lei” e Reme Gómez, della associazione vicinale del Barri Gòtic (Quartiere Gotico), assicura che “i vicini l’abbiamo abbandonato perché è già incluso impossibile di passeggiare”. I dati lo confirmano: di ogni 10 passeggianti della Rambla, 8 sono turisti”.

   I lamenti si estendono a altri rioni come il Born (“ogni volta ci sono più bar con le terrazze, più rumore, più invasione. Mica è il visitante che viene a Barcellona a conoscere come si vive, adesso si tratta di andare di negozio in negozio di souvenirs consumendo senza sosta), la pianificazione del quartiere di Ciutat Vella (il centro storico) “darà più vantaggi al lobby alberghiero e permetterà di nuovo che si distrugga la vita quotidiana”, la “privatizzazione” del parco Güell di fronte alla valanga di visitanti o i problemi di mobilità che genera il flusso di turisti alla Sagrada Familia. L’agenzia turistica Turisme di Barcellona non ha la stessa opinione. Domandati per questo giornale, hanno assicurato che le sue indagini determinano che “quando abbiamo chiesto agli abitanti sul loro avviso sul turismo, più di un 95% dicono che questa attività forse è favorevole alla città”. Invece ai suoi cittadini che?

   “L’80% dei negozi del mio isolato sono diventati negozi di souvenirs in cui si vendono i cappelli messicani e le magliette sportive (del Barça). Si è perso il “caliu” (l’identità, l’essenza) di vicinato. Perché devo renunciare al mio rione affinché loro pensino solamente nel turista?”, si lamenta Conchi Roque, un’abitante della Sagrada Familia. Il tempio di Gaudí è il monumento più visitato di tutta la Spagna. L’anno scorso ha attirato 3,17 milioni di turisti (il prezzo minimo dell’ingresso è di 14,80 euro). Quelli sono stati chi hanno pagato per accedere, i vicini calcolano che circa 6 milioni non entrano e la guardano da fuori. Insomma sono circa 9 milioni di visitanti all’anno, e questo vuol dire che tra 20.000 e 25.000 turisti transitano giorni a giorni per un rione che appena ha 20.000 abitanti.

   Di questo stesso rione è abitante Eduardo Chibás, produttore audiovisivo e autore di questo progetto personale che è stato Bye Bye Barcellona. “Io sono straniero, ma da circa 10 anni che vivo a Barcellona, che è la mia casa. Ho cominciato a pensare seriamente su questo argomento da più o meno un anno, quando mi sono stupito per una manifestazione degli abitanti della Barcellonetta contro il turismo massivo. Tra tantissime cose di cui lamentarsi il principale lamento è per la mancanza di spazio fisico apparso a causa  di questo fenomeno. È la ragione, ce l’hanno. Durante una gran parte dell’anno, non si può nemmeno camminare per diversi rioni di Barcellona, che de per sé è già una città troppo densa. Inoltre io abito in un punto critico, la Sagrada Familia. Tutti i gruppi di persone che si presentano in pullman a visitare il tempio passano di fronte al mio portone. Prendere la metropolitana diventa un atto scomodo e sgradevole, e questo disturba tantissimo. A dire il vero o cambia subitamente la situazione o dovrò trasferirmi a un altro posto, ma questo non dovrebbe accadere. È per questo che ho cominciato a pensare se questa città può sopportare questa situazione e ho deciso di esprimere queste reflessioni in un documentario”. Chibás ha registrato la prima intervista all’inizio di agosto e l’ultima il 22 dicembre. Dopo di rinchiudersi due mesi per montare il documentario, porre i sottotitoli e metterlo gratuitamente sul YouTube.

   Quando se gli chiede perché non ci sono voci istituzionali nel suo documentario, il produttore lo mette in chiaro: “Perché? Io volevo un documentario basado nelle testimonianze dei vicini, principalmente dei rioni più interessati. Può sembrare strano, ma questo non è un lavoro precisamente giornalistico. Su questo argomento mesi fa si è trasmesso un 30 minuts (documentario settimanale della TV catalana), intitolato Conviure amb el turisme (Coabitare col turismo) in cui c’è questa visione più giornalistica. Quel lavoro è stato fantastco e c’è tantissimo rigore giornalistico, ma diverso al mio perché inizia di intenzioni diverse, con altre risorse e insomma non sono un giornalista”, aggiunge.

   È Bye Bye Barcellona un documentario in contro del turismo? No. Malgrado l’agitazione che ha suscitato, e le critiche di alcuni spettattori che credono che sia lapidare una strategia che porta vantaggi in tempo di crisi, il progetto non va in contro del turismo per nulla, bensì in contro della sua gestione. “Io credo che non tutto serva a ottenere denaro. Né con la crisi né senza la crisi. I vantaggi del turismo potrebbero essere il doppio o il triplo. Per me, si perde la città e i suoi spazi e si promuove la costruzione di una facciata finta per il consumo veloce e feroce”, aggiunge il produttore.

   Così come racconta il co-direttore del master di Girnalismo di Viaggi dell’Università Autonoma di Barcellona, Santiago Tejedor, nel documentario, scommettere sul turismo massivo può tornare in contro della stessa città. La città, secondo lui, è la quarta destinazione che dispiace più al turista: “Ci sono luoghi interessanti mà non sono sicuri e  i viaggiatori parlano della perdita di qualità di quello che gli dispiace. Un viaggiatore che cerchi quello che è diverso si scontrerà con quello che è massivo. Si deve pensare a ritornare a quello che ci vogliamo alla città e all’essenza della città”.

   Una delle interessate che escono al documentario si lamenta di questa deriva turistica: “Tutto ciò lo pagheremo, il patrimonio se non va legato a una vita di rione crea una città di cartapesta, di finzione, e questa non è la ciità sulla quale vogliamo abitare...”

link sul documentario Bye Bye Barcellona:  https://www.youtube.com/watch?v=kdXcFChRpmI


Questo è l'eterno dibattito: il ruolo del turismo. Le città diventano parchi tematici o sono uno spazio per i cittadini? Che deve scegliere il comune; che la città divenga uno spazio per i turisti e insomma abitino alcuni cittadini che subiscano le stragge di questi turistici invasori delle nostre strade e quartieri, oppure uno spazio cittadino dove vengano turisti rispettuosi con la città e i suoi abitanti? La risposta certamente è chiara. Ma, economicamente conviene questo dibattito oppuere ai fattori economici delle città conviene che questa situazione rimanga di questo modo?

A te, ti interessa di qualche modo che i turisti hanno invaso i rioni e le strade della tua città? Ad esempio, hai notato se i prezzi degli affitti del tuo quartiere hanno salito dopo l'arrivo del turismo masivo?

Che ne pensate di tutto questo dibattito? Il comune della vostra città ha fatto qualcosa o ha preso qualche decisione per mitigare questa invasione?

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