jueves, 22 de septiembre de 2016

Due puntate sulla Sicilia, perché non tutto è Mafia e pizzo...



I vini della Sicilia


La coltivazione della vite e la vinificazione fu portata in Sicilia occidentale dai fenici fra il VIII e il VII secolo a.C. Nella Sicilia orientale la vitivinicoltura si diffuse sin dall’epoca della colonizzazione greca (VII – VI sec. a.C) con il tradizionale sistema detto “ad alberello”.

La nascita del Marsala come vino liquoroso è incentrata sulla figura del commerciante inglese John Woodhouse che nel 1773 approdò con la nave su cui viaggiava nel porto di Marsala e lì utilizzò metodo soleras al vino di quella zona. Il Marsala è stato il primo vino DOC della storia vinicola italiana.

Alla fine degli anni ’50 la Regione Siciliana diede vita alle cantine sociali, che raccolsero i piccoli produttori vitivinicoli in cooperative, e oggi restano sul ercato la cantina sociale Settesoli di Menfi e la cantina sociale di Trapani. Dopo che per decenni il vino siciliano è stato utilizzato come vino da taglio per i vini frnacesi e piemontesi, per la forte gradazione alcolica, a partire dagli anni ’70 l’affinarsi delle tecniche di vinificazione ha portato all’istituzione di numerosi vini a denominazione d’origine controllata. La sola provincia di Trapani produce il 10% del vino italiano. Ma ancora solo il 20% del vino viene etichettato. Sei milioni di ettolitri sono prodotti oggi in Sicilia, con 110mila ettari di vigneti.

Vigneti siciliani


Vitigni

Diversi sono i vitigni autoctoni dell’isola, sia bianchi che rossi: Zibibbo (introdotto per opera del Fenici a Pantelleria), Nero d’Avola, Catarrato, Grillo, Frappato, Perricone, Inzolia.

I vini tipici siciliani sono tra i più conosciuti d’Italia

Da sempre la Sicilia è una delle regioni che produce più vino. Il clima ventoso e secco, caldo ma mite, unito alla fertilità del terreno, offre la possibilità di coltivare uve di qualità. Partiamo alla scoperta dei vini tipici siciliani.

A Trapani e provincia si produce il Bianco d’Alcamo e il Marsala, mentre se ci spostiamo nelle zone di Ragusa e Catania troviamo il Cerasuolo di Vittoria. A Messina si sta cercando di tutelare un vino rosso di antica tradizione, il Faro, mentre a Siracusa invecchia il Moscato di Noto.

Le pendici dell’Etna sono ideali per coltivare uve di qualità, uva che ci regalano il famoso vino bianco e rosso dell’Etna. L’Etna bianco, ha un delicato profumo e un sapore secco, moderatamente alcolico. L’Etna rosso, dal colore rubino, si è perfetto per accompagnare le carni. Ha un sapore pieno ed armonico e 12,5 di gradazione alcolica.

Il Bianco d’Alcamo, a cui accennavamo sopra, si ottiene dalle uve Insolia, ed è un vino che accompagna tutto il pasto, avendo una moderata gradazione alcolica, che ha ottenuto il riconoscimento DOC. Sempre nel trapanese, si produce il Rapitalà, un vino dalle origini francesi, che è stato importato in Sicilia dal Conte Hugues de la Gatinais, prodotto nelle varietà bianco, rosso e rosè.

Il Cerasuolo di Vittoria è un vino molto pregiato, un classico rosso, che si ottiene dall’utilizzo di uve di qualità Frappato di Vittoria, il Calabrese e il Grossonero, lasciato poi maturare in botti di rovere.

Gli intenditori sono alla continua ricerca del rarissimo vino Faro, una produzione limitata, che cerca di salvaguardare la sua scomparsa. 

Quando pensiamo ai vini tipici siciliani, non può che venirci in mente i vini dolci, tra cui il Marsala, il Malvasia, il Moscato e il Passito, un vanto regionale e una delizia a cui non si resiste.

Il Malvasia di Lipari è un vino tipico ideale da gustare con i dolci: viene prodotto secondo antiche tradizioni, con le uve passite al sole su tipici graticci di canna.

Il Moscato di Noto si presenta di colore giallo oro, dal sapore rotondo e armonico, con un vago sentore di fiori, da gustare in ogni occasione. Altre varietà di Moscato sono il Moscato di Siracusa, da sorseggiare con i dolci e la frutta, e poi troviamo il Moscato e il Passito di Pantelleria, già noto ai tempi dei romani.

Un vino molto aromatico, da bere sia come aperitivo o per accompagnare i dolci.

Il Marsala di Sicilia è un vino liquoroso molto profumato ed è prodotto nella zona omonima che si trova in provincia di Trapani, oltre che in alcune località tra Palermo ed Agrigento.

Girare per cantine se ci si trova in Sicilia è possibile grazie ai numerosi percorsi enoturistici organizzati per scoprire i vini tipici siciliani.

 
Le DOC dei principali vini siciliani

Cantine Aperte 2016 in Sicilia: le cantine partecipanti e i loro programmi (28.05.2016)

Sicilia da... bere!!! Il 29 maggio, il Movimento Turismo del Vino apre le porte di 20 aziende che aderiscono alla collaborazione con AIRC.

Sicilia da... bere!!! Domenica 29 maggio torna l’appuntamento con Cantine Aperte, la manifestazione promossa dal Movimento del Turismo del Vino, il be to be tra vignaioli ed appassionati wine-lovers, giunta alla 24 edizione. “Vedi cosa bevi”, il leit motiv dell’iniziativa che anche in Sicilia offre un ampio panorama di iniziative all’insegna della solidarietà. “Anche il Movimento del Turismo del Vino Sicilia” – dice Elio Savoca, presidente regionale del MTV – “aderisce alla campagna nazionale Calice per la ricerca con l’Associazione Italiana Ricerca Cancro. Compra un ballon con la tasca e darai un contributo alla ricerca sul cancro. Nell’Isola, 20 le aziende che apriranno le cantine all’accoglienza di quanti vorranno scoprire cosa si nasconda dentro ad un bicchiere. L’obiettivo” – continua Savoca – “è quello di rafforzare il legame tra turismo e cultura agricola. Di far conoscere sì il produttore ma anche il contesto storico-culturale in cui nasce il vino”. Il binomio territorio-vino, accende curiosità, mobilita gli appassionati alla scoperta di vere e propie nicchie enogastronomiche e di saperi artigianali sparse sul territorio regionale in un felice connubio tra natura, arte, musica. Il tutto all’insegna della consapevolezza di un bere sano e responsabile.

I "sapori" della Sicilia


Un tour tra le cantine per “gustare” in anteprima le iniziative di alcune delle aziende aderenti al MTV Sicilia.

Le Cantine Gigliotto, a Piazza Armerina, nell’entroterra siciliano, a pochi chilometri da Enna e dalla Villa del Casale, patrimonio dell’UNESCO, si trasformeranno in un museo en plein air con artisti, musicisti, orafi e artigiani che presenteranno le loro creazioni al pubblico. Immancabile la visita ai vigneti ed alle cantine. Per chi vorrà potrà anche decidere di pranzare con un menù speciale. (Info e prenotazioni allo 0933 970898).

Ampia la scelta sull’Etna, un’isola nell’isola, con le sue contrade dove i vini si caratterizzano per sapidità e profumi unici. “Cantine aperte” alla Tenuta Scilio con un ricco programa di appuntamenti dalle 10.00 alle 19.00. Un happening in un’azienda che mixa tradizione ed innovazione, che prende il visitatore per la gola tra gli antichi sapori della tradizione e le delizie della casa per concludersi al tramonto con una passeggiata sensoriale tra le vigne (Info e prennotazione allp 3488 629754).

In contrada Solicchiata, a Castiglione di Sicilia, Cantine Russo, apre le porte tra degustazioni, visite tra filari in compagnia anche di Paolo di Cara, presidente della Fondazione Italiana Sommelier della Sicilia Orientale (Info e prenotazioni 3487 517970).

A Tre Castagni, Cantine Nicosia dà appuntamento dalle 10.00 alle 18.00 con un programma “vulcanico” all’insegna della sicilianità tra opere dei pupi e l’omaggio a Rosa Balistieri dei Colarindaco. Un mini-corso di degustazione con i maestri dell’ONAV di Catania ed anche con l’enologo dell’azienda Maria Carella, guideranno i visitatori alla scoperta dei vini vulcanici. E per quanti volessero, menù a km zero all’Osteria dell’azienda per scoprire i prodotti Slow Food del territorio (Info e prenotazioni allo +39 095 7809238/+39 095 7806767).

Wine&Music da Don Saro, a Linguaglossa, dalle 11.00 del 29 maggio tra i vini dell’azienda, un buffet di frittate ed un pranzo completo tipico che prevede anche la salsiccia al ceppo. Tra gli artisti, il maestro Pulvirenti con la sua fisarmonica a spasso per vignetti. (Info e prenotazioni allo 095 386245/336 235290)

A Sambuca di Sicilia, il borgo più bello d’Italia edizione 2016, appuntamento dalle 10.30 alle 18.00 con i vini di Feudo Arancio. Una full immersion tra i rigogliosi vigneti e la splendida bottaia. Ma, per gli amanti dell’Italian Life Style, un pizzico di vintage con il raduno/esposizione di Vespe, nuove e d’epoca sulle note del concerto italiano della band Le Mele Marce. (Info e prenotazioni allo 092 557900).

E sempre a Sambuca di Sicilia, in contrada San Giacomo, l’Azienda Agricola Biologica Di Giovanna, coltivatori da quattro generazioni, dà appuntamento dalle 10.30 alle 16.30 con un corso di degustazione ed una visita in una delle aziende più interessanti del panorama vitivinicolo siciliano. (Info e prenotazioni al 329 835523).

E restando nella provincia di Agrigento, ci spostiamo a Licata, nell’Azienda Quignones che propone una verticale di Nero d’Avola all’interno della barricaia. Degustazione polisensoriale in abbinamento a formaggi e prodotti da forno. Max 14 partecipanti per volta. (Info e prenotazione allo 092 773744).

A Noto, in provincia di Siracusa, quattro cantine, Planeta, Feudo Ramaddini, Terre di Noto e Cantina Marilina, promuovono il Noto Wine Tour  per conoscere tra degustazioni e visite in cantina, le peculiarità di un territorio unico, ricco di storia e di cultura. Un wine bus  in partenza da Marzameni, ogni trenta minuti, dalle 10.00 alle 15.00, per un viaggio emozionale tra le vigne. (Info e prenotazioni consultare i rispettivi siti delle aziende).

Variegato il programma di Abbazia Santa Anastasia, a Castelbuono, in provincia di Palermo. Degustazioni guidate dei vini biodinamici dell’azienda in abbinamento a prodotti Slow Food del territorio come la manna o la provola delle Madonie. Laboratori di riciclo per i più piccoli. Sarà anche possibile visitare la tenuta, a cavallo. (Info e prenotazioni allo 921 672233).

Ricco il programma alle Cantine Florio di Marsala con Corvo, Duca Di Salaparuta e Florio  in abbinamento a tipicità gastronomiche. Per i più piccoli, ma anche per coloro che amano la tecnologia applicata al divertimento, saràpoi a disposizione una della grandi novità 2016: la modernissima sala cinametografica 4D. Un video incredibile e spettacolare che racconta, attraverso un divertente Cartoon, gli albori della storia del vino e la nascita del Gruppo Duca Di Salaparuta e dei suoi vini, grazie a questa innovativa tecnica cinematografica, che combina le caratteristiche del cinema 3D ad effetti speciali “reali”. Infine, per i più appassionati, sarà possibile partecipare a quattro laboratori (a numero chiuso) guidati dal team di tecnici dell’azienda. La giornata si concluderà al tramonto sulla suggestiva Terrazza Florio, uno degli angoli più belli dell’Isola, sorseggiando le eleganti bollicine Duca Di Salaparuta.





Patrimonio vivo europeo. Italia

L’Opera dei Pupi di Palermo

Il teatro dei burattini siciliani è una tradizione da 300 anni. Con i suoi bei burattini, di grande dimensione e fatti artigianalmente, raccontavano storie di cavalieri o rappresentava i poemi del Rinascimento, anche se sono incorporati altri argomenti. Recentemente alcune compagnie hanno recuperato il teatrino dei burattinai, i pupi, e qualche compagnia, poche, mantengono la creazione manuale.

 

Opera dei Pupi

 


Kim Manresa. MAGAZINE.  20.07.2014 (tradotto dal giornale La Vanguardia)

Uno studio  strapieno  dei burattini di legno riunisce  ai re con le principesse, i cavalieri con i banditi, le giovinette con le streghe... Tutto un mondo diverso, quello di Mimmo Cuticchio. Appena resta spazio per il tavolo in cui fabbrica e dà vita artigianalmente ai suoi personaggi, con un tocco di dolcezza, come se fossero Gepetto e il suo Pinocchio.

La compagnia del Pupi di Mimmo Cuticchio di Palermo è fondata da tre generazioni, nel 1820. Ora Mimmo e i suoi figli Giacomo e Nino sono chi mantengono la tradizione di questo spettacolo, molto popolare in Sicilia e stava per sparire. Negli ultimi anni hanno risorto diverse compagnie a diverse città che hanno contribuito a mantenere viva l’Opera dei Pupi. 

Mimmo Cuticchio è nato dietro le quinte, nel teatro ambulante di suo padre nel quale percorrevano tutta l’isola. È stato l’ultimo burattinaio ambulante di Palermo. Ha montato una compagnia stabile nel 1973.  Mimmo spiega che, da piccolo, suo padre gli comprava la pittura per proteggere i pupi, invece di comprargli delle scarpe, per sostituire quelli che stavano logori. Quando viaggiavano suo padre fissava il suo sguardo sulle donne con i capelli lunghi e gli chiedeva dei ciuffi al fine di mettergli sui guerrieri. Tutti i pupi portavano dei ciuffi di capelli naturali. Ora questo retaggio familiare di burattini, i pupi – una tradizione di più di 300 anni nell’isola – è costoso di mantenere.

Tania Maria Sofia è sarta. Ha fatto i vestiti del Re delle Due Sicilie. Con questo burattino in braccio, percorre il nucleo storico fino ad arrivare al teatro, un piccolo tesoro. È un vecchio teatro come un albero centenario, ma con le foglie sempreverdi, che si rinnova affinché gli spettatori capiscano l’essenza di ogni favola o racconto, come se fosse una piccola biblioteca orale. Questi burattini hanno un sapore popolare, con un contesto sociale, pure trattano degli argomenti che preoccupano alla società attuale, come l’immigrazione, i retagli, la corruzione,...

Il teatro è pieno di gente. Affascinati per la magia che si stacca di questo meraviglioso spettacolo, i più piccoli rimangono abbagliati per la lotta di spade che, con la musica in vivo di un pianista, ha un’atmosfera spettacolare.

Mimmo e Nino ci mettono un mese per creare un nuovo burattino e sanno che per muovere un pupi durante una rappresentazione teatrale, al fine di sostenere i fili e anche i fili di ferro e il suo peso di otto chili, si bisogna avere la forza, l’abilità e molta passione. Dicono che sono gli ingredienti con cui il teatro dei pupi siciliano è diventato un’arte unico a scala internazionale. Quindi, l’UNESCO l’ha declarato Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

Mimmo Cutticchio, uno degli ultimi burattinai di Sicilia








Benissimo, ci sono cose più al di là della Mafia e del pizzo... Ma conoscete la Sicilia? Siete andati qualche volta? Che vi pare l'isola? Io non sono mai andato lì. Che mi consigliate di visitare o che cosa fare quando ci sia lì? Parlatemi. Sono interessato...

I catalani dell’Italia: la città di Alghero



(www.minoranze-linguistiche-scuola.it/catalano/, a cura di D. Morelli e T. Senesi)

Alghero (l’Alguer in catalano), situata nella Sardegna nord-occidentale, viene denominata “la Barceloneta de Sardegna” per la massicia migrazione di persone provinienti dalla Catalogna.

Fondata approssimativamente nel secolo XII dalla potente famiglia genovese dei Doria, fu conquistata definitivamente da Pietro IV d’Aragona il 19 novembre 1354. Da quella data Alghero viene di fatto unita alla Corona di Aragona e le cariche pubbliche riservate ai catalani.

Dopo l’Unità d’Italia il catalano di Alghero, rimasto isolato dalla madrepatria, da un lato ha mantenuto la sua arcaicità e dall’altro ha comunque subito influenze (del castigliano e del sardo prima, e dell’italiano poi) soprattutto nella formazione di vocaboli moderni.

Il catalano di Alghero è stato riconosciuto dallo Stato Italiano e dalla Regione Autonoma della Sardegna come lingua minoritaria.

Le stradine acciottolate che ancora oggi conservano i loro nomi catalani, l’architettura dei suoi palazzi e degli edifici religiosi: Plaça Cívica, Palazzo d’Albis, la Chiesa di San Michele, le Torri perfettamente incastonate nei secolari bastioni senza dimenticare la Chiesa di San Francesco e la Cattedrale di Santa Maria, emblemi dello stile gotico-catalano in Sardegna.

L’artigianato locale si fa espressione di una tradizione culturale ricca di elementi decorativi simbolici di varie origini: è ricorrente il motivo dei due pavoni simmetricamente situati presso l’albero cosmico (tema passato dalla Persia all’Islam e da qui alla Spagna) ad esprimere la dualità della psiche umana che riceve la vita dal Principio dell’Unità.

Tappeti, arazzi, utensili in legno, ceramiche, appaiono correlati tra loro da una varietà di motivi iconografici nei quali ritualità, simbolismo, religione e magia s’intrecciano in linee semplici ed essenziali.

La pesca e la lavorazione del corallo, risalente al periodo catalano, continua ad essere una delle componenti fondamentali della vita economica e sociale della città.

Associazioni culturali importanti promuovono  tutta una serie di inziative culturali: conferenze, convegni, premi letterari, mostre.

Dal 1988 l’Obra Cultural ha realizzato la Biblioteca Catalana e organizza corsi di lingua catalana, attività musicali, teatrali e poetiche.

Frequento sono i contatti fra la Barceloneta della Sardegna e la Catalogna, anche a livello ufficiale. 



Riconoscimento della lingua catalana

L’articolo 2 della legge 482 del 15 dicembre 1999 della Repubblica Italiana sulle Norme materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche riconosce il catalano con queste parole: “In attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.”

L’articolo 2 comma 4 della Legge Regionale dell’11 settembre 1997 della Regione Atonoma della Sardegna sulla promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna riconosce il catalano con queste parole: “La medesima valenza attribuita alla cultura ed alla lingua sarda è riconosciuta, con riferimento al territorio interessato, alla cultura ed alla lingua catalana di Alghero, al tabarchino delle isole del Sulcis, al dialetto sassarese e a quello gallurese”.

In seguito ad un accordo tra Comune, il Ministero dell’Istruzione, il Provveditorato regionale e l’ente governativo catalano, è arrivata l’effettiva ufficializzazione di bilinguismo paritario, essendo l’algherese previsto come materia scolastica obbligatoria dall’anno scolastico 2012-2013 in poi (obiettivo, finora, non ancora raggiunto nel caso del sardo stesso e delle altre lingue parlate nell’isola).

Storia del catalano ad Alghero

La presenza dominante del catalano ad Alghero risale al XIV secolo, con l’espulsione nel 1372 da parte dei conquistatori catalano-aragonesi delle popolazioni sarde e genovesi (deportate nella Penisola Iberica e nelle Baleari come schiavi) a seguito di una ribellione e la loro sostituzione con genti venute dall’interno della Catalogna. La ciità viene di fatto unita alla corona di Aragona e le cariche pubbliche riservate ai catalani.

Le successive immigrazioni sarde nella città hanno a loro volta assunto il catalano come lingua di prestigio. Rimato isolato dalla madrepatria, il catalano di Alghero da un lato ha mantenuto la sua arcaicità e dall’altro ha comunque subito influenze, del castigliano e del sardo prima, e dell’italiano poi (soprattutto nella formazione di vocaboli moderni).

Durante il fascismo il catalano di Alghero, coerentemente con le politiche di italianizzazione, fu osteggiato e la sua area di difussione si redusse al centro storico di Alghero. Con la fondazione della frazione di Fertilia, situata alla periferia nord di Alghero, il regime si vantava di avere riportato in città gli “abitanti autoctoni” (cacciati nelle campagne dai Catalani nel 1372).
Attualmente il catalano di Alghero è stato riconosciuto dalla Repubblica Italiana e dalla Regione Sardegna come lingua minoritaria.

Stradario del centro storico della città di Alghero con i nomi catalani delle strade (ci mancano alcune, forse le più importanti, perché hanno diversi nomi secondo il pezzo della strada dove ci sia)


Diffusione dell’algherese

I quartieri “Centro Storico” e “Mercede” di Alghero sono tradizionalmente di lingua catalana ed è dove nel 2012 sarebbe parlata.

Il catalano algherese è diffuso in Sardegna nella città fortificata di Alghero, dove è compreso da circa il 60% della popolazione e parlato da circa il 20% della stessa. Nel territorio comunale è comunque presente unitamente al sardo logudorese, compreso dal 49,8% degli abitanti. Storicamente infatti l’uso del catalano era perlopiù limitato alla città intra moenia (ossia ai quartieri del Centro Storico e della Mercede) e a parte della costa frequentata dai pescatori algheresi, visto che l’agro, come dimostrano alcuni toponimi quali Sa Segada, Sa Londra o Pala Pirastru, è sempre stato prevalentemente logudoresofono.

Nel 2012 il 22% dei circa 40.000 abitanti di Alghero parla il catalano algherese, ma tra i giovani in età scolastica solo il 12% del totale, ragione per cui dall’UNESCO viene considerato a rischio di estinzione (endangered).

Stime diffusione del catalano algherese ad Alghero

Ricerca sociolinguistica della Regione Sardegna

Fonte: le lingue dei sardi, ricerca sociolinguistica, anno 2007


Prima lingua
Lingua d’uso abituale
Italiano
64,9%
83,3%
Catalano Algherese
22,8%
13,9%
Sardo
12,3%
2,8%

Inchiesta della Generalitat de Catalunya

Fonte: Generalitat de Catalunya, anno 2004


Prima lingua
Lingua d’uso abituale
Italiano
59,2%
83,0%
Catalano Algherese
22,4%
13,9%
Sardo
12,3%
2,8%
Altro
6,1%
0,3%


Lascio un sito sul YouTube in cui si parla del catalano e la sua situazione alla città di Alghero:  https://www.youtube.com/watch?v=iwthCIwMdZU



Associazioni di tutela per l’algherese

Centre d’Estudis Algueresos

Il Centre d’Estudis Algueresos (in italiano Centro di Studi Algheresi) è un’associazione culturale fondata nel 1952 per promuovere la conoscenza dell’algherese. Il fondatore fu Rafael Sari che divenne primo segretario, mentre che Rafael Catardi fu presidente dal 1952 al 1961 e nel 1971, e Antoni Simon Mossa dal 1961 al 1971.

Pubblica la rivista Renaixença Nova dal 1960, e organizzò i Jocs Florals ad Alghero nel 1960 e nel 1961. Nel 1972 cominciò a produrre dischi in algherese.

Escola de Alguerés Pascual Scanu

L’Escola de Alguerés Pascual Scanu (in italiano Scuola di Algherese Pascual Scanu) è una scuola fondata nel 1982 da Josep Sanna per l’insegnamento dell’algherese alle nuove generazioni. Fa corsi di lingua, letteratura e storia catalana, tutti gratuiti e si chiama così in onore dello scrittore e linguista algherese Pascual Scanu. Il suo direttore è Antonu Nughes, la scuola pubblica il periodico L’Alguer in catalano. L’insegnamento nella scuola si svolge in algherese e in catalano standard, per recuperare il dialetto che poteva andar perso. Collabora con l’Obra Cultural de l’Alguer.

Associació per a la Salvaguarda del Patrimoni Historicocultural de l’Alguer

L’Associació per a la Salvaguarda del Patrimoni Historicocultural de l’Alguer (in italiano Associazione per la Salvaguardia del Patrimonio Storico Culturale di Alghero) nasce nel 1988 col fine di contribuire alla tutela del patrimonio artistico-architettonico cittadino di rilevanza storica e del patrimonio linguistico, seriamente minacciato dal processo di sostituzione di linguaggio operato dall’italiano e dall’influenza dei media. Dal 1990 organizza corsi gratuiti di algherese e dal 1994 ai primi anni 2000 ha portato il catalano d’Alghero nelle scuole pubbliche durante le ore extracurriculari con insegnanti di algherese che lavoravano al fianco dei professori titolari. Dal 1998 al 2004 ha organizzato corsi di aggiornamento per insegnanti, regolarmente approvati dal provveditorato agli Studi di Sassari. Oltre alle lezioni di algherese e alla conduzione del Coro Francesc Manunta organizza anche seminari di drammatizzazione in algherese che si concludono con rappresentazioni teatrali.


Caratteristiche della variante del catalano algherese

Rispetto al catalano standard si rilevano alcune differenze nel lessico e nella pronuncia dovute alla sua arcaicità o alle differenti influenze esterne:

-          Gli articoli sono per il maschile lo/los, come nel catalano arcaico e tuttora in alcune zone dei dialetti nordoccidentali (pronunciato lu/lus; in fonetica sintattica dopo vocale possono semplificarsi in vari modi: lo perde l’elemento vocalico: con la testa=amb lo cap=/ama l’kap/; los perde l’elemento vocalico se si trova tra vocali: con gli amici=amb los amics=/ama ldz a’mics/, tra vocale e consonante può perdere la consonante iniziale: con i compagni=amb los companyons=/ama us kumpa’ñonts/, oppure ridursi alla sola marca del plurale: /ama s kumpa’ñonts/) e per il femminile la/les (pronunciato la/las). Nel catalano standard di Barcellona gli articoli determinativi sono el/els, la/les;

-          Sostituzione di –r– con –l–: port>polt, sard>saldu, persona>palzona, corda>colda, portal>pultal, Sardenya>Saldegna; fenomeno comune nel Nord Sardegna al sardo logudorese settentrionale, al sassarese e al gallurese;

-          L’assimilazione di – rl – > l·l, come in dialetto baleare: parlar>pal·là, burlar>bul·là;

-          L’assimilazione di – dr – (etimologico o secondario) > rr:  pedra>pérra, padrina>parrina, dormir>dromí>rrumì;

-          Rotacismo l > r: blanc>branc, plana>prana, clau>crau, vular>vurà, plaça>prassa, ungla>ungra, plena>prena, Barceloneta>Balsaruneta, vila>vira, escola>ascora, come anche in sassarese;

-          Sostituzione anche in d > r: cada>cara, vida>vira, bleda>brera, roda>rora, codony>corom;

-          Pronuncia in –a­– della –e– atona (non accentata): persona>palsona, estar>astà, alguerés>algarés, fenomeno comune al dominio catalano orientale e al sassarese parlato a Castelsardo; anche in posizione finale, dove per esempio dà luogo al cambio –re> –ra: escriure>ascriura, veure>veura, lladre>llarra, sempre>sempra;

-          Pronuncia in –u– della –o– atona (non accentata): portal>pultal, lo>lu, los>lus, dolor>durò, obrir>ubrì, ma òbri (imperativo apri), come nel catalano orientale;

-          –r muta in posizione finale: anar>anà, saber>sabé, fugir>fugì, l’Alguer>l’Alghé, volar>vurà, come nei dialetti catalani orientali;

-          La conservazione della v– come fonema distinto da b–, similmente al catalano delle Baleari e al valenziano;

-          La trasformazione della –e– in –i–: estiu>istiu, vestir>vistì, llegir>lligì, come nel catalano rossellonese;

-          La semplificazione (recente e non totale) dell’esito finale –ny>–n e –ll>–l: any>an, puny>pun, fill>fil, vell>vel, cavall>caval;

-          Arcaismo in alcune parole: almanco (pronunciato almancu) per almenys, espada (pronunciato aspara) per espasa, e come in altri dialetti catalani, servici (pronunciato salvìssi) per servei, paréixer (pronunciato parèisciar) per semblar;

-          Conservazione dell’uscita in consonante sorda della 1ª persona singolare del presente indicativo: inf. creure> crec, conéixer> coneix (catalano conec e barbarismo coneixo), vivir> viv (catalano visc), parlar> parl (pronunciati pal·là/pal, e in catalano parlo);

-          Presenza delle sole forme forti dei pronomi personali atoni come in altri dialetti catalani (arcaismo): me (pronunciato ma), te (pronunciato ta), se (pronunciato sa), nos (pronunciato nus/mus), vos (pronunciato vus), se (pronunciato sa) contro il catalano standard centrale em, et, es, ens (sono anche ammessi e praticati negli altri substandard catalani: me, te, se, nos, vos, se);

-          Iodizzazione in alcuni vocaboli aventi –ll: Vallverd>Vaivelt, Mallorquí>Maiorchì;

-          Forte tendenza alla metatesi dei nessi in vibrante: fabrica>frabica, forment>frument, patró>prató, Febrer>Frabé, dormir>dromir>rrumí, come in sassarese e in alcune varianti del sardo;

-          Utilizzo di termini differenti dal catalano standard (o costituenti arcaismi o varianti stilistiche minori), anche per influenza castigliana, sarda e italiana: ama  per amb; iglesia  al posto di església (forma preferente nella lingua standard), llumera per llum, marina  per mar, ont  e quant (arcaismi) per on e quan, cavidani  per setembre, eba  per egua, fatxada  per façana (ammesso nel dizionario dell’Institut d’Estudis Catalans, cioè l’accademia della lingua catalana), fortuna  per sort (anche nel dizionario dell’Institut d’Estudis Catalans), lletra  per carta (anche nel dizionario dell’Institut d’Estudis Catalans), campsant per cementiri (sardismo), fatxa per cara (italianismo);

La maggior parte di queste particolarità fonosintattiche non viene convenzionalmente riportata nello scritto, che adotta spesso le regole di trascrizione del catalano ufficializzato; tale tipo di manovre è oggetto di critica da parte di alcuni, che temono il rischio di un’assimilazione a scopo politico da parte del modello standard rendendo, paradossalmente, l’algherese ancora più vulnerabile.

I mesi

I nomi dei mesi in algherese sono sostanzialmente uguali a quelli in catalano standard, con l’aggiunta di quattro denominazioni tipiche dell’algherese e derivate dal sardo: cavidani per setembre (sardo Cabudanni/Cabidanne), santuaini per octubre (sardo Santu Aine), santandria per novembre (sardo Sant’Andria) e nadal per desembre (sardo Nadale). Può essere usato indifferentemente l’uno o l’altro nome, ciò nonostante la tendenza è quella di scriverli secondo la variante catalana ufficiale.

Stagioni dell’anno

I nomi delle stagioni dell’anno sono anche sostanzialmente uguali a quelli in catalano standard, a eccezione dell’autunno, che ha una denominazione tipica dell’algherese e derivata dal sardo: autunjo (pronunciata atunju, sardo atongiu), e l’aggiunta di una denominazione anche tipica dell’algherese e derivata dal sardo per denominare la primavera, che è verano (pronunciata varanu, sardo beranu).

 
Vi lascio un video della cantante algherese Franca Masu, in catalano algherese, che si chiama Almablava


Comincio qui una serie di entrate sul blog in cui si parlerà delle minoranze linguistiche che ci sono in Italia. Abbiamo iniziato dall'algherese, perché noi barcellonesi oppure italiani che abitano Barcellona,  forse conosciamo bene il catalano, e siccome l'algherese è un dialetto del catalano che si parla in Sardegna, mi è sembrato benissimo cominciare con questa minoranza linguistica parlata in Italia.

Per parlare un po', conoscete la città dell'Alghero? Vi siete andati in qualche occasione? Avete sentito a qualche abitante della città parlare in catalano algherese?

Da un'altra parte, nel tuo paese, ci sono delle minoranze linguistiche, dello stesso modo che ci sono in Italia? Parlatevi se conoscete qualche lingua o dialetto che, purtroppo, stia sul punto di sparire ingolato dalla lingua ufficiale.